Qualità della pubblica amministrazione: il capoluogo Pavia in 73esima posizione

Pavia soltanto 73esima. Decisamente, si poteva fare meglio. Ma al di là delle polemiche relative ai ponti sul Naviglio, ai dirigenti più o meno licenziati e alle polemiche sull’utilizzo delle risorse pubbliche, i numeri sono come al solito l’unica risorsa che, se utilizzata correttamente, fornisce un quadro preciso dello stato dell’arte. E lo stato dell’arte ci dice che su 112 capoluoghi di provincia analizzati attraverso un complesso sistema di parametri (e su un periodo di diversi anni), Pavia rischia di sfiorare la parte bassa della classifica. La ricerca di cui parliamo, presentata l’altro ieri, riguarda il nuovo Indice Maqi sulla qualità dell’amministrazione comunale, sviluppato da ricercatori di Sapienza, Gssi e Istat su 7.725 Enti Locali e mostra che i 112 capoluoghi hanno in media maggiore capacità amministrativa rispetto agli altri Comuni, grazie a personale più istruito e a maggiori margini finanziari. Sul podio delle performance complessive dei capoluoghi sale Sondrio, seguita da Savona e Genova, mentre in coda figurano Isernia, Agrigento e Catania. L’indice, basato su 11 indicatori strutturali, politici e finanziari, evidenzia un chiaro divario Nord-Sud, con gli enti meridionali penalizzati soprattutto su rigidità della spesa, capacità di spesa e riscossione. Nel tempo migliorano livello di istruzione dei dipendenti, capacità di riscossione e flessibilità della spesa, ma continua a ridursi il numero di dipendenti per abitante. Sia chiaro: l’indice Maqui fotografa le caratteristiche tecniche, politiche e gestionali e si riferisce al Municipal Administration Quality Index, ossia un indice composito per misurare la qualità dei governi locali. È un indicatore che valuta aspetti come la qualità burocratica, la capacità, il merito dei politici locali e le prestazioni economico-fiscali dei comuni, coprendo un ampio arco temporale e quasi tutti i comuni italiani.
Pavia, dunque, 73esima. Perché questa posizione così bassa? Peggio di Messina, Foggia, Campobasso, Siracusa e Salerno, ossia un confronto perdente con città del nostro sud Italia che, forse con troppa retorica razzista, consideriamo inefficienti per partito preso. Dunque, perché? Innanzitutto, spiega Il Sole 24 Ore, “l’indice misura la qualità della macchina amministrativa, combinando dati sul capitale umano (anni medi di istruzione dei dipendenti pubblici), il turnover del personale (elevata rotazione può compromettere la continuità e le competenze operative), la dotazione organica (numero di dipendenti per 1.000 abitanti) e l’assenteismo (media delle assenze per dipendente)”. Inoltre, “l’indice rileva le caratteristiche strutturali della leadership locale, includendo gli anni di istruzione del sindaco e degli altri rappresentanti (vicesindaco, assessore e presidente del consiglio), la parità di genere negli organi politici e la quota di amministratori con profili white-collar (impiegati, professionisti, manager). Competenze e professionalità politica favoriscono visione strategica, progettualità e legittimazione democratica”. Infine, “l’analisi valuta anche l’efficacia gestionale, l’autonomia esecutiva e la sostenibilità finanziaria degli enti locali tramite gli indicatori sulla rigidità della spesa (incidenza delle spese fisse sul bilancio), sulla capacità di spesa (rapporto tra spese effettive e accertate) e di riscossione (% raccolta delle entrate) e sulla quota di investimenti in bilancio”.
Ecco, su questi aspetti Pavia deve migliorare. E di molto. Ma consoliamoci: Lecco, Cremona e Lodi stanno persino peggio. Mal comune (sic), mezzo gaudio.