cronaca
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Sanità a due velocità, anche a Pavia: un rapporto

Un pronto soccorso: foto generata con Ai Nel 2023 in Italia sono stati registrati oltre 18,5 milioni di accessi ai pronto soccorso, e nel 67% dei casi la visita medica è avvenuta entro i limiti di tempo previsti dal triage infermieristico. È quanto emerge dalla quarta Indagine nazionale sullo stato di attuazione delle reti tempo-dipendenti, realizzata da Agenas e presentata a Roma. La rilevazione mostra tuttavia ampie differenze regionali: la percentuale di accessi entro i tempi di triage varia dal 53% in Sardegna all’86% in Basilicata. In dettaglio, il 94% dei codici bianchi riceve la visita entro 240 minuti, l’80% dei verdi entro 120 minuti, il 61% degli azzurri entro un’ora, mentre solo il 35% dei gialli e il 40% degli arancioni vengono valutati entro i 15 minuti previsti. Oltre il 60% degli accessi complessivi riguarda casi non gravi (codici bianchi e verdi), a fronte di appena 2,3% di codici rossi. Un dato che conferma come il pronto soccorso resti spesso il primo punto di riferimento anche per bisogni di bassa complessità. La relazione Agenas colloca questi numeri all’interno di un monitoraggio più ampio delle reti tempo-dipendenti – emergenza-urgenza, infarto, ictus e trauma maggiore – che nel 2023 hanno registrato miglioramenti nell’organizzazione e nella tempestività d’intervento, ma con forte eterogeneità territoriale. In parallelo, l’indagine analizza la accessibilità territoriale ai presidi d’emergenza: il 76% della popolazione può raggiungere un pronto soccorso in meno di 30 minuti, con punte superiori all’80% in Emilia-Romagna e Veneto, ma sotto il 60% in Sardegna e Calabria.
La situazione di Pavia
Si possono fare solo esempi random e qualche confronto regionale o provinciale, perché un giudizio preciso richiederebbe un’analisi più approfondita. Possiamo però dire, per quello che riguarda i “traumi severi”, immaginiamo un incidente stradale, la mortalità a 30 giorni è del 23,97%, molto meglio degli ospedali di Vigevano (49,18%) e Voghera (54,55%), ma peggio, per dire, del Niguarda (14,74%). Differenze enormi, che richiedono una spiegazione esperta prima di esprimere giudizi. Anche per la Rete Ictus, ci sono differenze: il San Matteo di Pavia ha una mortalità (dopo 30 giorni) del 7% mentre per Vigevano e Voghera mancano i dati. San Matteo meglio, ad esempio, del Poma di Mantova (11,6%). Infine, anche per la Rete Cardiologica, la mortalità a 30 giorni del San Matteo è del 7% (prestazione media), mentre Vigevano e Voghera ottengono rispettivamament il 5,79% e l’11,91%.
Insomma, anche al nord ci sono differenze, e se si ha voglia di consultare il rapporto molto completo (disponibile on line cliccando qui), si scoprirà che il divario non è solo tra regioni o parti d’Italia.
Come scrive Il Foglio: “C’è un orologio che segna il tempo delle emergenze sanitarie in Ita- lia, e non batte allo stesso ritmo dap- pertutto. A volte corre veloce, salva vite, restituisce persone alle loro fami- glie. Altre volte arranca, perde minuti preziosi, e quelle vite le perde davvero. Il rapporto Agenas sulle Reti tempo-dipendenti che monitorano infarti, ictus e traumi gravi ci racconta proprio questo: un’Italia a due velocità. C’è l’Italia dove se hai un infarto grave hai il 69 per cento di probabilità di essere trattato con un’angioplastica salvavita entro 90 minuti, come in Veneto. E c’è l’Italia dove questa probabilità scende al 41,9 per cento, come in Sardegna. Differenze che decidono se una persona sopravvive o no. Ma è quando parliamo di traumi gravi – gli incidenti stradali, le cadute disastrose – che le differenze diventano ancora più crude. In Calabria quasi una persona su due che subisce un trauma maggiore muore entro 30 giorni. In Toscana, meno di una ogni cinque. Perché? Perché in Toscana è più probabile che tu venga preso in carico immediatamente da un Centro trauma di alta specializzazione, mentre in altre regioni questo non è affatto scontato. Allora viene da chiedersi: com’è possibile? La risposta è che in Italia manca una regia unitaria delle emergenze. Solo 8 regioni su 21 hanno un coordinamento vero delle reti emergency. Nelle altre, ogni ospe- dale o ogni Asl fa un po’ per conto suo. E i risultati si vedono. Servono Stroke Unit che abbiano il numero giusto di posti letto, servono elicotteri del 118 che coprano tutto il territorio, servono protocolli chiari che facciano arrivare la persona giusta nel posto giusto al momento giusto. In molte zone questo già avviene, e i risultati sono eccellenti. In altre, no. Il problema non è solo di soldi ma soprattutto di organizzazione. Di volontà politica. Di saper prendere a modello ciò che già che funziona.
Quando si parla di emergenze, ogni minuto conta. E il rapporto Agenas ci dice che in Italia il valore di un minuto dipende ancora troppo da dove ci si trova.”
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Landini, l’Ilva e il ponte sul Naviglio

I lavori per il ponte sul Naviglio (fotografia da La Provincia Pavese) Cosa c’entra Landini, segretario nazionale della Cgil, con quel disastro amministrativo che sono stati (e sono) i lavori per il ponte sul Naviglio di Pavia? Mi è venuta in mente la polemica su quel cantiere – la cui vicenda potete ricostruire grazie agli articoli de La Provincia Pavese cercando nell’archivio on line (qui l’ultimo resoconto) – leggendo un bel pezzo de Il Foglio dedicato, criticamente, a Landini, e allo spreco delle risorse pubbliche. Insomma, in sintesi, il segretario della Cgil chiedeva più intervento pubblico per l’Ilva e gli veniva spiegato che l’intervento pubblico c’era stato ed era risultato un disastro. Mi è venuto da pensare che un progetto banale come la costruzione di un ponte, se affidato alle competenze pubbliche, può trasformarsi in un incubo procedurale.
D’altro canto, ricordo che il record di velocità nella costruzione di un ponte è stato raggiunto in più occasioni con tecnologie e organizzazioni straordinarie, specialmente in Cina. Un caso emblematico riguarda la ricostruzione integrale di un ponte completata in sole 43 ore a Pechino, dove squadre di operai si sono alternate giorno e notte per smantellare il vecchio ponte e posizionare la nuova struttura, minimizzando l’impatto sul traffico ferroviario e stradale.
Ma torniamo alla questione Ilva. Ecco l’articolo di alcuni giorni fa:
Secondo Maurizio Landini, leader della Cgil, “serve un intervento diretto dello stato nella gestione Ilva”. Il segretario ha lanciato un appello da Bari, per mobilitare gli iscritti a partecipare alla manifestazione nazionale: 25 ottobre a Roma. Tutto legittimo, per carità, ma una domanda viene naturale: esiste qualcosa di più diretto dell’amministrazione straordinaria? Oggi sia Acciaierie d’Italia (la cosiddetta best company, che gestisce la parte produttiva) sia Ilva in “as” (la bad company che tiene a libro paga gli operai che non torneranno mai più in fabbrica) sono commissariate e dunque già nelle mani dello stato. I conti restano segreti, ma si sa che la best company perde circa 65 milioni al mese, che al 6 marzo 2025 aveva uno stato passivo di 5,4 miliardi e che dal 2023 al 2025 lo stato ha versato—tenetevi forte—oltre 1,4 miliardi di euro per mantenerla in vita: 680 milioni nel 2023, 320 nel 2024 e 450 nel 2025, anche attingendo al fondo sequestrato ai Riva e originariamente destinato alle bonifiche ambientali. A questi si aggiungono 200 milioni l’anno per la cassa integrazione “fine pena mai” di seimila lavoratori che non torneranno più in produzione. Tutto questo con Ilva già pubblica. Come pubblica è Dri Italia, società statale che con un euro di produzione spende 4,7 milioni, di cui 1,8 per il personale e 2,1 per servizi, oltre a centinaia di milioni in stipendi e consulenze, senza aver mai prodotto un chilo d’acciaio. Nel frattempo, facciamo notare a Landini, la produzione a Taranto è ulteriormente crollata: è accesso un solo altoforno, quello inaugurato dal ministro Adolfo Urso nell’autunno 2024 si è incendiato dopo sei mesi per lavori mal fatti, e la cassa integrazione è aumentata insieme ai costi. Se questo è “intervento diretto dello stato”, per renderlo ancora più diretto bisognerebbe forse nominare Landini e Antonio Decare nel cda. Ma tanto, come sempre, paga Pantalone. Landini, con tutto il rispetto, ma che stai dicendo?
La sintesi sulla storia del ponte sul Naviglio grazie all’Ai:
A Pavia, i lavori per il ponte sul Naviglio di viale Ludovico il Moro sono oggetto di una lunga e accesa polemica a causa di continui ritardi, disagi per i residenti del quartiere Città Giardino e danni economici per le attività locali.
Cronistoria e problematiche principali:
- Ritardi e chiusura prolungata: Il ponte è stato chiuso al traffico per un intervento di manutenzione straordinaria, ma i lavori hanno subito notevoli rallentamenti e blocchi, causando la chiusura dell’attraversamento per oltre un anno.
- Disagi per la viabilità: L’interruzione del collegamento ha creato gravi problemi di viabilità, costringendo residenti e automobilisti a percorrere lunghi percorsi alternativi, con conseguente aumento del traffico e dell’inquinamento nella zona.
- Danni economici: Le attività commerciali nel quartiere Città Giardino hanno registrato perdite significative, con cali di fatturato fino al 70%, a causa della mancanza di transito e passaggio pedonale.
- Polemiche sull’appalto: Nel corso del 2025 sono emerse diverse criticità relative all’assegnazione e alla gestione dell’appalto. A maggio, l’amministrazione comunale ha incontrato i residenti per spiegare i ritardi, attribuendoli all’impresa aggiudicataria, ma scatenando ulteriori polemiche da parte dell’opposizione, che ha evidenziato errori e lentezze nella procedura. Ad agosto, il Comune ha paventato la revoca dell’appalto, data l’inerzia della ditta, ma i lavori sono comunque proseguiti a singhiozzo.
- Passerella pedonale temporanea: A giugno 2025, è stata installata una passerella pedonale temporanea per alleviare almeno i disagi dei pedoni, ma la soluzione non ha risolto i problemi per il traffico veicolare e ha continuato ad alimentare il malcontento.
- Situazione attuale (ottobre 2025): I lavori procedono tra alti e bassi. A settembre è iniziato lo smantellamento della struttura da riparare, che è stata trasportata in officina. Le polemiche, tuttavia, non si sono placate, con i residenti che a fine settembre hanno chiesto risarcimenti per i danni subiti.
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L’intervista che non fa male a nessuno

La storia completa la potete leggere più avanti, in una sintesi del comunicato dell’Fnsi, la Federazione nazionale stampa italiana. Ma in poche parole: il governo presenta la bozza di legge di bilancio, sono presenti i (bravissimi, lo sappiamo tutti) giornalisti del Sole 24 Ore, ma l’intervista alla premier sui conti italiani la fanno fare a Maria Latella, collaboratrice esterna, non proprio specializzata in economia. Lo decide il direttore, non vogliamo credere su pressione della Meloni, immaginiamo per essere più realista del re. Insomma, un modo per non mettere davanti alla premier un giornalista che di conti e di leggi di bilancio magari ne sa persino più di lei. Morale, i giornalisti (giustamente) scioperano, ma il direttore fa uscire il quotidiano lo stesso. I giornalisti ri-scioperano. D’altro canto per libertà di stampa l’Italia è ventesima su 27 in Unione europea, ultimi tra gli Stati fondatori: la classifica 2025 di Reporter senza frontiere certifica appunto un ulteriore arretramento della libertà di stampa in Italia, che si attesta al 49esimo posto a livello globale perdendo tre posizioni rispetto all’anno scorso e otto rispetto a quello precedente. Credetemi, tenetevi ben stretti la Provincia Pavese. A seguire, la nota della Fnsi.
La segretaria generale Alessandra Costante: «Penso che neppure la presidente del Consiglio avrebbe voluto vedere la sua intervista uscire in un’edizione del quotidiano che fa carta straccia di tutti i fondamentali dell’informazione libera e democratica». Il Cdr: «Dalla direzione grave azione anti-sindacale». A sostegno dei colleghi anche l’Usigrai e i Comitati di redazione de La Sicilia, Repubblica, Domani e Secolo XIX. Il presidente della Federazione della Stampa, Vittorio di Trapani: «Da direttore ed editore atteggiamento che richiama i padroni anni ’50, quelli pre-Statuto dei lavoratori». La solidarietà di Assostampa Sarda, Sigim, Sindacato giornalisti Veneto, Associazione Ligure dei giornalisti, Asva, Assostampa Basilicata e Asu.
Oggi, sabato 18 ottobre 2025, il Sole 24 ore è in edicola con sole 20 pagine, quasi tutte “fredde” e con un’intervista alla premier Giorgia Meloni fatta da una giornalista esterna. Un giornale realizzato senza la redazione, che ieri ha proclamato all’unanimità uno sciopero proprio perché l’intervista a Meloni è stata decisa improvvisamente dalla direzione, a scapito di colleghi interni che erano andati alla conferenza stampa di Palazzo Chigi sulla manovra. Il Cdr e la redazione hanno stigmatizzato la deriva che vede gli intervistati scegliersi gli intervistatori.
La Federazione nazionale della Stampa, l’Associazione Lombarda dei giornalisti e l’Associazione Stampa Romana sono a fianco dei colleghi del Sole 24 Ore e ribadiscono che fare uscire il quotidiano malgrado lo sciopero compatto della redazione è un atto grave e inaccettabile. Oggi, la battaglia dei giornalisti del Sole 24 Ore è una battaglia di tutti in difesa del giornalismo. Editori e direttori non possono usare i giornalisti a loro piacimento, scavalcandoli quando il diktat è utilizzare un intervistatore gradito.
«L’edizione del Sole 24 ore in edicola oggi nonostante lo sciopero proclamato dalla redazione – commenta Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi – scrive una pagina nera nella storia di uno dei quotidiani più importanti del Paese. Non solo: infanga e sminuisce l’altissima professionalità dei colleghi che ci lavorano. Lo sciopero indetto dal Cdr è a difesa della dignità del giornalismo professionale, della qualità dell’informazione e della sua indipendenza. Penso – conclude Costante – che neppure la presidente del Consiglio avrebbe voluto vedere la sua intervista uscire in un’edizione del Sole che fa carta straccia di tutti i fondamentali dell’informazione libera e democratica».
Sulla questione interviene anche il Cdr del Sole 24 Ore con una nota pubblicata in apertura del sito del giornale, in cui si ricorda che oggi il sito web non sarà aggiornato e per le 16 è convocata una nuova assemblea dei giornalisti: «Le giornaliste e i giornalisti del Sole 24 Ore sono in sciopero e denunciano la grave azione anti-sindacale compiuta dalla direzione che ha comunque fatto uscire in edicola il quotidiano, seppure in forma ridotta, in opposizione a quanto deliberato all’unanimità dall’assemblea».
Il Cdr prosegue: «L’agitazione interviene a tutela delle professionalità della redazione. Venerdì 17 ottobre, giorno di approvazione della legge di bilancio in Consiglio dei ministri, infatti, è improvvisamente comparsa sulle pagine del giornale un’intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni scritta da una collaboratrice esterna. Vicenda che si era già verificata in passato e che avevamo stigmatizzato con uno sciopero delle firme. Episodi analoghi, in altri campi, accadono anche con altri interlocutori. In questo modo – conclude la nota – si approda a una deriva distopica nella quale gli intervistati si scelgono gli intervistatori con il beneplacito del direttore». -
Cinque anni fa moriva Arbasino: oggi un film

Alberto Arbasino nel suo studio (foto de La Provincia Pavese) Michele Masneri, giornalista de Il Foglio, è co-regista insieme ad Antongiulio Panizzi di ‘Stile Alberto’ documentario che è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Freestyle Arts. “Un viaggio originale e appassionante – scrive l’Ansa – dedicato a una delle figure più originali della cultura italiana essendo stato al tempo stesso uno dei più importanti scrittori del dopoguerra, un grande viaggiatore, un intellettuale a tutto tondo ideatore di neologismi come la ‘casalinga di Voghera’, un grande giornalista, un deputato, ma soprattutto un dandy, elegantissimo e armato di Porsche, frequentatore compulsivo di salotti, insomma una sorta di Marcel Proust italiano. Nel docu tanti materiali d’archivio, testimonianze di amici, familiari e intellettuali e la ricostruzione dei rapporti con Pasolini, Visconti fino al duraturo legame con il compagno Stefano.
Per quello che riguarda la nostra provincia di Pavia, specificatamente, ricorda Masnieri nell’articolo su Il Foglio: “Voghera è un altro pannello di quella grande co- struzione labirintica che era AA: non solo set dell’infanzia delle “Piccole vacanze”, e dei racconti dell’educazione sentimentale lombarda; nella breve e deludente parentesi parlamentare si era dato da fare non su astruse proposte di legge come ci si aspetterebbe da un letterato bensì molto “sul territorio”, per la sua “constituency”, all’americana; e dunque per un allargamento del tribunale del luogo, e per altre questioni locali. Un altro tormentone era il mancato riconoscimento della “casalinga di Voghera” primigenia, cioè la vogherese Caroli- na Invernizio, scrittrice all’epoca “infamous” fino a essere definita “l’onesta gallina della letteratura italiana” nientepopodimeno che da Antonio Gramsci, perché scriveva romanzetti rosa-dark tipo “Il bacio di una morta”, mentre oggi sarebbe la regina del “romance” (pronunciato all’italiana, ‘ròmans’, e anche qui chissà che rap avrebbe fatto Alberto) e sarebbe ospite fissa da Fazio, e certamente le farebbe- ro subito il Meridiano”. E aggiunge nel suo bell’articolo su Arbasino: “La gagliarda sindaca di Voghera, Paola Garlaschelli, ci ha portato tra le strade della sua cittadina per svelarci uno scoop: una strada intitolata alla precursora di tutte le casalinghe esiste, è stata dunque fatta. Ma la mancanza assoluta di “occhio” e “orecchio” per il pop era uno dei tanti rimproveri che Alberto faceva agli intellettuai italiani che fortemente lottavano per il popolo senza però conoscere le canzoni in voga tra le masse”.
Il documentario, peraltro, è prodotto da MadEntertainment in collaborazione con Rai Documentari e Luca Guadagnino con il sostegno della Fondazione Teatro Sociale di Voghera e il contributo della Fondazione del Monte di Lombardia.
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La fregatura del mezzo pubblico

Per una serie di ragioni, sono andato a Milano un po’ di volte con mia moglie. In centro. Mi sono chiesto se fosse meglio utilizzare il mezzo pubblico o l’automobile privata, al di là della comodità. Probabilmente, questo è un ragionamento già fatto da altri, ma vale la pena ripeterlo con l’aiuto dell’Ai e le opportune correzioni (perché l’intelligenza artificiale ne “cicca” di dati). Ecco cosa di sintetizza l’Ai per il percorso in auto:
Quindi, per il viaggio di andata e ritorno con sosta di un’ora e pagamento Area C, il costo complessivo è di circa 17-18 euro, secondo il tipo di carburante e la zona di parcheggio privilegiata.
Poi, ieri, siamo andati a Milano utilizzando quasi solo i mezzi pubblici:
Auto fino al parcheggio della stazione: costo 6 euro per la sosta. Poi 17,16 euro per il treno andata e ritorno. Complessivamente, dunque, 23,16 centesimi.
Avremmo potuto utilizzare l’autobus cittadino invece dell’auto in sosta alla stazione, ma il costo sarebbe stato uguale. Vediamo ora i tempi di percorrenza. Utilizzando l’auto:
Il tempo di percorrenza in auto da casa tua a Pavia fino a via Montesanto a Milano, partendo alle ore 13, è di circa 45-50 minuti. Vanno aggiunti 5/10 minuti per parcheggiare.
Utilizzando auto (parcheggio alla stazione) e treno (tempo verificato avendo scelto questa opzione):
Risultato: partendo alle 13 con l’auto da casa tua puoi essere in via Montesanto intorno alle 14:25-14:30, utilizzando la S13 e parcheggiando all’arrivo alla stazione di Pavia. Quindi 1 ora e 25 minuti.
Ma se utilizzassi solo mezzi pubblici? Ecco:
Partendo alle 13 da casa, puoi essere in via Montesanto intorno alle 14:15-14:20 usando solo bus e S13.
Questo dato è da verificare, ma può essere vero se corrispondono gli orari del bus con quelli del treno relativamente all’orario in cui devo essere a Milano.
In ogni caso, in auto ci si mette meno tempo e si spende la stessa cifra con i mezzi pubblici. La convenienza c’è soltanto se si viaggia singolarmente. Insomma, per i single vita facile, per coppie e famiglie il mezzo pubblico è troppo, troppo costoso. Bisogna essere ricchi per essere ecocompatibili. -
L’aiuto ai soliti furbi (del catasto)

La proposta della Lega per la legge di bilancio nazionale in approvazione in queste ore al consiglio dei ministri alla fine premierà i soliti furbi. Perché non bastano le – chiamiamole così- buone intenzioni verso la propria fascia di elettorato (economicamente medio-bassa), ma bisogna prima capire gli effetti delle decisioni che si vogliono prendere. La proposta della Lega recità occhio e croce così: per la Legge di Bilancio 2026, ha proposto l’esclusione completa della prima casa dal calcolo dell’Isee, sostenendo la necessità di non penalizzare chi possiede immobili di abitazione nell’accesso ai bonus come l’Assegno Unico e altre misure di welfare. La proposta punta a escludere dal calcolo dell’Isee tutte le prime case fino a un valore catastale di 100.000 euro. Oggi il sistema già prevede una franchigia di 52.500 euro; l’iniziativa della Lega prevedrebbe un’esclusione totale almeno sotto soglia, lasciando eventuali seconde case e altri immobili completamente conteggiati. La modifica, se approvata entro fine 2025, entrerebbe in vigore dal 2026 e amplierebbe il numero dei beneficiari di prestazioni legate all’Isee, con impatto diretto sull’accesso a numerose agevolazioni e bonus sociali.
Potrebbe anche avere un senso, ma a condizione che i valori catastali delle abitazioni fossero aggiornati. In gran parte dei Comuni italiani non lo sono e quindi si rischia di favorire, per fare un esempio banale, chi ha un immobile di pregio con reddito basso ma quell’immobile è censito ancora, magari, come una casa in fascia A3. Come per l’evasione fiscale, i benefici rischiano di scivolare via da chi ne avrebbe davvero bisogno a favore di chi invece magari ricco non è certamente, ma può anche farne a meno. Sulla base delle ricognizioni dell’Agenzia delle Entrate e delle attività di controllo del 2025, si stima che vi siano almeno 1,2-2 milioni di immobili non censiti oppure “fantasma”, mai registrati al catasto o irregolari rispetto alle dichiarazioni catastali. Queste unità comprendono fabbricati rurali, abitazioni abusive, ampliamenti non dichiarati e costruzioni sconosciute al fisco in seguito ai controlli incrociati tra ortofoto satellitari, cartografie catastali e documentazione di lavori recenti.
La situazione di Pavia
Due abitazioni su tre delle 46.541 che a tutto il 2023 componevano la consistenza di immobili privati a Pavia sono classificate nella categoria catastale A3, quella cioè che identifica le «abitazioni di tipo economico», ovvero fino a 100 metri quadrati e 5 vani, con finiture non di lusso. Una percentuale elevata rispetto alla media dei capoluoghi italiani (che è del 40% circa), almeno in parte legata al fatto che il patrimonio immobiliare è particolarmente vecchio: basti pensare che – qui il dato è provinciale, ma applicabile a Pavia città – il 60% delle case è stato costruito prima del 1972 e il 18% addirittura prima del 1945, mentre gli alloggi classificati nelle categorie energetiche G e F, quelle peggiori dal punto di vista dei consumi (in genere sono anche le case più vecchie) sono oltre l’80%.
poche case in a2.
Se nella A3 figurano 30.201 case, nella categoria A2, che identifica «abitazioni di tipo civile» (superficie oltre i 100 metri quadrati, numero di vani catastali superiore a 5.5; presenza di due bagni; finiture di pregio) sono 7.997, vale a dire il 17% del totale, una quota decisamente inferiore alla media dei capoluoghi (40%).
Rientrare nella categoria A3 comporta rendite catastali enormemente più basse rispetto alla A2, anche se la reale differenza qualitativa tra due abitazioni che figurano in una categoria o nell’altra a volte non è così evidente: se la rendita catastale media a Pavia delle abitazioni in A3 è pari a 421 euro (con una media di 85 metri quadrati di superficie), per quelle in A2 si passa a ben oltre il doppio, e cioè 986 euro (ma la superficie media sale a 132 metri quadrati).
E la rendita impatta ovviamente sull’Imu (è quella la base di calcolo dell’imposta), il cui acconto per il 2025 va pagato entro il 16 giugno, con l’aliquota base che a Pavia sulle abitazioni è stata confermata all’1,06% (0,96% per se affittata o data in comodato): naturalmente il discorso vale solo per le seconde case nelle categorie A2 e A3, perché come è noto le uniche abitazioni principali, cioè dove si ha la residenza, per le quali va pagata l’imposta comunale sono quelle classificate in A1 (abitazioni signorili, a Pavia la rendita media è di 3.118 euro, con superficie media che sfiora i 400 metri quadrati), A8 (Ville, e qui la rendita sale a 3.776, la superficie media a 426 metri) e A9 (Castelli, palazzi storici e di pregio), assenti però sul territorio comunale. L’aliquota è dello 0,6% e si tratta comunque di una quota risibile del totale degli immobili: appena 58 (52 in A1 e 6 in A8), pari allo 0,12%.
a4 e a7.
La terza categoria di abitazioni più numerosa è la A4 (abitazioni popolari), presente a Pavia in 5.091 unità e in questo caso la rendita media scende a 158 euro (66 metri quadrati la superficie media), mentre la quarta è quella delle abitazioni in villini (A7): ce ne sono 2.930, la rendita media risale fin quasi al livello delle A2 (883 euro) e la superficie media a 156 metri.421 euro (85 mq), mentre le abitazioni in categoria A2 sono circa la metà come numero ma con rendita media di 986 euro (132 mq). Gli immobili di maggior prestigio (A1 e A8) sono solo 0,12% del totale, con rendite e superfici medie molto alte. L’aliquota IMU è confermata all’1,06% sulle abitazioni, 0,96% se affittata o data in comodato, mentre per le abitazioni principali (A1/A8/A9) l’aliquota è 0,6%. Il Comune di Pavia ha avviato nel 2025 la revisione degli strumenti urbanistici che includono anche la ridefinizione dei valori di riferimento per le trasformazioni immobiliari, ma al momento non risulta una revisione generalizzata e completata dei valori catastali di tutti gli immobili a livello comunale. È stato invece avviato il procedimento di redazione del Nuovo Documento di Piano del Piano di Governo del Territorio (PGT) con deliberazione della Giunta Comunale n. 204 del 31 marzo 2025, aprendo fino a maggio 2025 la possibilità di presentare proposte e osservazioni da parte dei cittadini e degli operatori. Gli aggiornamenti catastali a Pavia seguono quindi soprattutto le varianti urbanistiche, gli interventi edilizi significativi e le disposizione nazionali per chi ha eseguito lavori incentivati o significativi lavori di ristrutturazione (questa ultima parte è fonte La Provincia Pavese). -
Il sentiero interrotto (Parco, ci sei?)

Il cedimento 
Il percorso C’è un bel sentiero circolare, di poco meno di sette chilometri, che è molto frequentato, anche nel periodo autunnale e persino invernale. E’ quello che parte dalla zona di via Grumello, poco distante da viale Cremona, che scende già in strada Scagliona, e poi va a Ticino, costeggiandolo per un paio di chilometri per poi risalire tra i campi fino a via Francana e via degli Abati fino a tornare a via Grumello. Si trovano, lungo il percorso, sia i runner sia i proprietari di cani, sempre educatissimi, persone che vogliono solo farsi una passeggiata, e camminatori a passo lesto. Qualche contadino, a volte, camion pieni di sabbia nell’ultimo tratto. Dopo via Francana, nella parte sotto gli alber dopo l’azienda florovivaistica, il sentiero è letteralmente crollato, impedendo il passaggio (adesso, in periodo asciutto), solo alle biciclette, ma con l’arrivo delle piogge anche a piedi sarà pericoloso perché in pendenza e scivoloso. Peraltro, a ogni pioggia, il fossato si scava di più. E’ da mesi in queste condizioni. A chi tocca sistemare? Al Parco del Ticino? Ai proprietari dei terreni? E’ uno dei pochi percorsi tranquilli in città, lasciarlo andare sarebbe una pessima idea.
- concerti, Controluce, cronaca, fotografia, Fuji X Series, jazz, manifestazioni, musica, Post produzione, Spettacoli, Teatro
Concerti in bianco e nero
Potrò parlarne più avanti, con un certo orgoglio, ma il lungo e appassionato lavoro che ho fatto negli anni passati registrando le immagini di concerti e di prove di concerti a Pavia avrà un riconoscimento pubblico. Ne sono già ora molto orgoglioso e felice. Forse persino troppo per me, se penso alle centinaia di colleghi giornalisti e fotografi che ogni giorno, sottopagati, scattano negli stadi, nelle arene, nei teatri, realizzando lavori bellissimi. Una professione sempre più difficile da fare, sempre più impegnativa ma che, seppure non sia stata la mia principale attività (faccio il giornalista e scrivo più che altro), può dare grandi soddisfazioni. Qui, ora, pubblico alcune immagini tra le tante del mio archivio. Buona visione.







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L’isola dei Conigli (raggiunta a piedi)
La prima cosa che dice Paola è: “Una cosa da turisti, non ci andiamo”. La mia osservazione: “Ma noi SIAMO turisti”. Ok, era una cosa da turisti. Ma ci siamo andati perché avevo intenzione di scattare qualche immagine di quel fenomeno. Ossia, citando la notizia da Bresciaoggi.it, “non è mai stato così basso il livello dell’acqua nel Lago di Garda durante il periodo invernale: l’ultima volta risale a più di 30 ann fai. Un fenomeno che ha fatto riaffiorare l’istmo che congiunge la terraferma con la piccola Isola di San Biagio, conosciuta anche con la denominazione di Isola dei Conigli, a Manerba sul Garda, in provincia di Brescia”. Ecco. Il problema, fotograficamente parlando, era che tutta Italia, beh magari non tutta, aveva scattato fotografie di quel fenomeno. Mi sono aggiunto, spero, con un briciolo di originalità (ma non ne sono certissimo…). Ecco il risultato.

Verso l’isola dei Conigli 
Verso l’isola dei Conigli 


Verso l’isola dei Conigli -
Studenti in piazza a Gand
Quando sei in viaggio, e immagini di fotografare solo luoghi e persone, un po’ di fotografia di cronaca cambia il ritmo della giornata. In questo caso, mi sono imbattuto in una protesta studentesca molto rumorosa ma abbastanza ordinata nel centro della cittadina universitaria di Gand, Belgio. I ragazzi e le ragazze si sono fatti fotografare senza problemi, molto concentrati sulle ragioni della loro manifestazione.

La manifestazione studentesca a Gand, Belgio
