Pavia

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    Pavia criminale (più di quel che pare): il rapporto del Viminale 2025 (dati 2024)

    In aumento la criminalità anche a Pavia (foto da Ai)

    I dati diffusi ieri dal Viminale sulla situazione della criminalità in Italia sono preoccupanti. Come vedremo dalla sintesi più avanti, sono dati in aumento. Ma quello che sorprende, è che la provincia di Pavia abbia il rapporto peggiore tra numero di abitanti/numero di reati in Lombardia: risulta infatti 21esima tra le province italiane la peggiore tra quelle lombarde (Milano esclusa) e seconda in classifica tra le province lombarde per crimini violenti. Complessivamente, rispetto al 2023 (i dati sono del 2024), l’aumento dell’indice di criminalità è stato dell’1,38%. Da segnalare la settima posizione in Italia, brutto risultato, per le denunce di danneggiamenti.

    Ecco la tabella elaborata grazie al sito de Il Sole 24 Ore:

    La tabella de Il Sole 24 Ore sulla provincia di Pavia

    Per il resto, nel 2023 i capoluoghi lombardi presentavano valori significativamente più elevati di criminalità rispetto alle rispettive province — Milano domina per quasi tutte le tipologie di reato, con l’eccezione dei furti in abitazione, dove prevale Bergamo.

    Milano: indice di criminalità appropriativa nel 2023 di 53,21 (capoluogo) e 19,16 (provincia); per la criminalità violenta: 39,09 nel capoluogo e 15,92 nella provincia.

    Sondrio è la provincia con i valori più bassi (furti: 5,54; reati violenti: capoluogo 33,68; provincia 10,05). Monza risulta la più sicura come indice di criminalità violenta (17,77).

    Province con indici più alti di criminalità violenta: Brescia (16,72), Milano (15,92), Pavia (15,31), Varese (13,94). Per città: Brescia (34,9), Bergamo (34,03), Mantova (32,06), Como (28,92), Cremona (27,69).

    Effetto covid: tra 2011 e 2020 tendenza decrescente ovunque, minimo nel 2020 per restrizioni. Tra 2020 e 2023 nuova crescita dovuta alla ripresa delle attività sociali ed economiche.

    ​Questa la classifica con la 21esima posizione di Pavia:

    La tabella nazionale sempre da Il Sole 24 Ore
  • Arte,  fotografia,  Pavia,  photography,  Ritratti

    In ginocchio da te (alla mostra del Broletto ci vuole la vista di Superman)

    Le targhe informative: ma ci voleva tanto a posizionarle un po’ più in alto?

    Ormai è una cattiva abitudine. Con il passare degli anni, anche alla World Press Photo, le targhette con le indicazioni relative alle singole fotografie e/o all’autore hanno caratteri sempre più piccoli. Così, appunto, è capitato a Lodi durante il Festival della fotografia etica 2025, così abbiamo (clamorosamente) notato alla pur interessante e ben realizzata mostra La Forma del Ritratto che si può ammirare al Broletto di Pavia (dal giovedì alla domenica, dalle ore 15 alle ore 19, con ingresso libero). Le targhette sono, occhio e croce, all’altezza del gomito o dell’avambraccio di una persona alta intorno al metro e settanta centimetri, e costringono ad abbassarsi quasi di novanta gradi. Poi, arrivati alla targhetta, ci vuole una super vista per leggere il testo, peraltro in doppio formato, il secondo quasi minuscolo. Io sono alto un metro e ottantatrè, e proprio ho faticato ad arrivare alla targhetta. Non parliamo della difficoltà di lettura.

    Ora, le statistiche ci dicono che: 1) l’età media degli italiani è di quarantasei anni; 2) l’altezza media in Italia è di circa un metro e settantasette per gli uomini e di un metro e sessantaquattro per le donne; e infine, quasi otto italiani su dieci soffrono di disturbi visivi come miopia e presbiopia; ecco, di fronte a tutto questo, cosa accidenti ci voleva a posizionare le targhette più in alto e scegliere un carattere più grande? Le mostre non basta farle, bisogna curarle in tutti gli aspetti. Perché, è noto, il diavolo sta nei dettagli.

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    Sicurezza informatica, Pavia come al solito sta peggio della media nazionale

    Pavia messa male per la cyber security (foto da Ai)

    I dati della ricerca pubblicata da I-Com mostrano un’Italia a due facce: da un lato in ottima posizione (rispetto alla media europea) sulla creazione delle reti, quindi sul fronte infrastrutturale; dall’altro, molto ma molto indietro sulla digitalizzazione, in particolare delle piccole e medie imprese. Sul terreno delle competenze digitali e della digitalizzazione delle imprese – sintetizza un articolo de La Repubblica – il ritardo diventa macroscopico. Il report calcola che, agli attuali ritmi, l’Italia raggiungerà il target europeo di PMI digitalizzate solo nel 2152 e quello sulle competenze digitali di base nel 2481: una distanza che fotografa con chiarezza la sfida ancora aperta. Oggi solo il 27,2% delle imprese italiane è pienamente digitalizzato (contro una media UE del 34,3%) e appena il 17,9% offre corsi di formazione ICT ai propri dipendenti. Gli specialisti ICT rappresentano il 4% dell’occupazione totale, la metà dell’obiettivo europeo. Nel frattempo, la popolazione procede a passo lentissimo: appena +0,2% nel 2024 per le competenze di base, segno che il Paese non ha ancora trovato la chiave per trasformare l’offerta tecnologica in capacità diffusa”.

    Sicurezza informatica

    Anche sul fronte della protezione dei dati digitali, che a volte sono fondamentali per le aziende, persino per la loro sopravvivenza, l’Italia e la provincia di Pavia hanno i loro problemi. Questo dato emerge leggendo il Rapporto Nazionale PID Cyber Check 2025. Ecco i dati che riguardano la provincia di Pavia:

    • Numero aziende coinvolte: 2.928 imprese italiane hanno partecipato all’indagine, incluse numerose PMI di Pavia e Lombardia.
    • Settori e tecnologie diffuse a Pavia:
      • Maggioranza di PMI, spesso attive in manifattura, servizi, commercio e filiera sanitaria.
      • Alta penetrazione di dispositivi IoT, server aziendali e utilizzo di servizi cloud.
    • Misure di sicurezza e consapevolezza:
      • Solo il ~38% delle aziende pavesi dichiara di avere politiche di sicurezza formalmente definite.
      • Solo il 17% possiede un responsabile ufficiale della sicurezza informatica (molto inferiore alla media nazionale del 25%).
      • Il 52% delle aziende si affida a backup periodici (in linea col dato regionale), ma solo il 32% effettua test periodici dei backup stessi.
    • Gestione password e accessi:
      • Solo una minoranza usa autenticazione a due fattori (18%).
      • Le politiche di gestione password sono spesso deboli: solo il 27% adotta l’obbligo di cambio regolare e complessità minima.
    • Aggiornamento sistemi:
      • Il 44% delle aziende aggiorna software e sistemi “solo quando necessario” invece che sistematicamente, aumento del rischio exploit.
    • Incidenti più frequenti:
      • In Pavia, le tipologie principali di attacco dichiarate sono phishing/social engineeringmalware e violazioni su dispositivi IoT come telecamere e centraline.

    Confronto dati statistici: Pavia vs media nazionale

    IndicatoreProvincia di PaviaMedia nazionale (PMI)
    Aziende con policy formali di sicurezza~38%49%
    Responsabile ufficiale IT Security17%25%
    Backup regolari52%54%
    Test periodici dei backup32%41%
    Autenticazione a due fattori (2FA)18%28%
    Gestione password avanzata27%35%
    Aggiornamento sistematico sistemi56% aggiornano regolarmente67% aggiornano regolarmente
    Incidenti segnalati (ultimi 12 mesi)Phishing, malware, IoTPhishing, malware, ransomware
    • Le aziende di Pavia sono sotto la media nazionale per quasi tutti gli aspetti di sicurezza organizzativa e tecnica: meno policy formali, meno referenti IT, meno procedure per password e per backup avanzato.
    • L’adozione di misure tecniche quali 2FA e la gestione password avanzata è sensibilmente più bassa rispetto al quadro nazionale.
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    Rozzano, alla faccia della cultura cia cia cia (ovvero, La kultura poi ti kura)

    Rozzano capitale della cultura italiana 2028 (dal sito della candidatura)

    A qualcuno sarà magari sfuggito, ma Rozzano – quarantunomila abitanti a sud di Milano e a due passi da Pavia – non è solo famosa per aver dato i natali a Fedez e per essere stata in passato culla della peggio deliquenza (anche organizzata, come la ‘Ndrangheta). Ora Rozzano è sulla bocca di tutti per essersi candidata a capitale della cultura italiana 2028. Della cultura? Cioè una cittadina-dormitorio, palazzoni e piazze deserte? Beh, Rozzano non è più solo quello da parecchi anni. Le amministrazioni che si sono alternate hanno trasformato, a fatica, cemento e immigrazione in integrazione, progetti, iniziative, piste ciclabili e persino molto verde. La questione più interessante è la definizione di “cultura” che non è più – non deve essere più – solo un museo, un convegno, un monumento che ci fa dire “ohhhh”. Ma è anche “infrastruttura pubblica”. Già. Qualcosa di completamente diverso e che, per capirci subito, Pavia fatica enormemente a comprendere.

    Leggiamo dal sito della candidatura, dove la frase che ci piace di più è: “Rozzano 2028 è un progetto collettivo, metropolitano, inclusivo. Non chiede un titolo per sé: propone un metodo per l’Italia.”

    E dunque “Rozzano si candida a Capitale Italiana della Cultura 2028 con una visione radicale e urgente: rimettere la cultura, l’arte e la creatività al centro della vita urbana, come strumenti di partecipazione, riscatto sociale e rigenerazione collettiva. In un tempo segnato da fratture e disuguaglianze, Rozzano si propone come laboratorio metropolitano di cucitura: tra le case popolari e le aree residenziali, tra memorie operaie e nuove generazioni, tra la città e Milano. Non più periferia che chiede attenzione, ma centro attivo di partecipazione civica.

    Con circa 41.000 abitanti e una delle più alte densità di edilizia pubblica in Italia, Rozzano trasforma ciò che è stato spesso letto come fragilità in risorsa. Le case ALER, i cortili, i parchi e le reti sociali diventano scenari e motori di un progetto culturale coraggioso, partecipato, trasformativo. Cultura come infrastruttura pubblica, come atto d’amore verso la città. La candidatura nasce in sinergia con il grande piano di rigenerazione “Caivano bis – Modello Rozzano”, e lo amplia: alla ricostruzione fisica si affianca una ricostruzione simbolica e culturale. Le scuole, le strade, gli impianti sportivi e gli oratori si animano di teatro, musica, arte pubblica, danza urbana, cene condivise, narrazioni popolari.

    Rozzano 2028 è un progetto collettivo, metropolitano, inclusivo. Non chiede un titolo per sé: propone un metodo per l’Italia. Un modello culturale che parte dal basso, integra generazioni e origini diverse, rafforza legami, genera bellezza”.

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    Sanità a due velocità, anche a Pavia: un rapporto

    Un pronto soccorso: foto generata con Ai

    Nel 2023 in Italia sono stati registrati oltre 18,5 milioni di accessi ai pronto soccorso, e nel 67% dei casi la visita medica è avvenuta entro i limiti di tempo previsti dal triage infermieristico. È quanto emerge dalla quarta Indagine nazionale sullo stato di attuazione delle reti tempo-dipendenti, realizzata da Agenas e presentata a Roma. La rilevazione mostra tuttavia ampie differenze regionali: la percentuale di accessi entro i tempi di triage varia dal 53% in Sardegna all’86% in Basilicata. In dettaglio, il 94% dei codici bianchi riceve la visita entro 240 minuti, l’80% dei verdi entro 120 minuti, il 61% degli azzurri entro un’ora, mentre solo il 35% dei gialli e il 40% degli arancioni vengono valutati entro i 15 minuti previsti. Oltre il 60% degli accessi complessivi riguarda casi non gravi (codici bianchi e verdi), a fronte di appena 2,3% di codici rossi. Un dato che conferma come il pronto soccorso resti spesso il primo punto di riferimento anche per bisogni di bassa complessità. La relazione Agenas colloca questi numeri all’interno di un monitoraggio più ampio delle reti tempo-dipendenti – emergenza-urgenza, infarto, ictus e trauma maggiore – che nel 2023 hanno registrato miglioramenti nell’organizzazione e nella tempestività d’intervento, ma con forte eterogeneità territoriale. In parallelo, l’indagine analizza la accessibilità territoriale ai presidi d’emergenza: il 76% della popolazione può raggiungere un pronto soccorso in meno di 30 minuti, con punte superiori all’80% in Emilia-Romagna e Veneto, ma sotto il 60% in Sardegna e Calabria.

    La situazione di Pavia

    Si possono fare solo esempi random e qualche confronto regionale o provinciale, perché un giudizio preciso richiederebbe un’analisi più approfondita. Possiamo però dire, per quello che riguarda i “traumi severi”, immaginiamo un incidente stradale, la mortalità a 30 giorni è del 23,97%, molto meglio degli ospedali di Vigevano (49,18%) e Voghera (54,55%), ma peggio, per dire, del Niguarda (14,74%). Differenze enormi, che richiedono una spiegazione esperta prima di esprimere giudizi. Anche per la Rete Ictus, ci sono differenze: il San Matteo di Pavia ha una mortalità (dopo 30 giorni) del 7% mentre per Vigevano e Voghera mancano i dati. San Matteo meglio, ad esempio, del Poma di Mantova (11,6%). Infine, anche per la Rete Cardiologica, la mortalità a 30 giorni del San Matteo è del 7% (prestazione media), mentre Vigevano e Voghera ottengono rispettivamament il 5,79% e l’11,91%.

    Insomma, anche al nord ci sono differenze, e se si ha voglia di consultare il rapporto molto completo (disponibile on line cliccando qui), si scoprirà che il divario non è solo tra regioni o parti d’Italia.

    Come scrive Il Foglio: “C’è un orologio che segna il tempo delle emergenze sanitarie in Ita- lia, e non batte allo stesso ritmo dap- pertutto. A volte corre veloce, salva vite, restituisce persone alle loro fami- glie. Altre volte arranca, perde minuti preziosi, e quelle vite le perde davvero. Il rapporto Agenas sulle Reti tempo-dipendenti che monitorano infarti, ictus e traumi gravi ci racconta proprio questo: un’Italia a due velocità. C’è l’Italia dove se hai un infarto grave hai il 69 per cento di probabilità di essere trattato con un’angioplastica salvavita entro 90 minuti, come in Veneto. E c’è l’Italia dove questa probabilità scende al 41,9 per cento, come in Sardegna. Differenze che decidono se una persona sopravvive o no. Ma è quando parliamo di traumi gravi – gli incidenti stradali, le cadute disastrose – che le differenze diventano ancora più crude. In Calabria quasi una persona su due che subisce un trauma maggiore muore entro 30 giorni. In Toscana, meno di una ogni cinque. Perché? Perché in Toscana è più probabile che tu venga preso in carico immediatamente da un Centro trauma di alta specializzazione, mentre in altre regioni questo non è affatto scontato. Allora viene da chiedersi: com’è possibile? La risposta è che in Italia manca una regia unitaria delle emergenze. Solo 8 regioni su 21 hanno un coordinamento vero delle reti emergency. Nelle altre, ogni ospe- dale o ogni Asl fa un po’ per conto suo. E i risultati si vedono. Servono Stroke Unit che abbiano il numero giusto di posti letto, servono elicotteri del 118 che coprano tutto il territorio, servono protocolli chiari che facciano arrivare la persona giusta nel posto giusto al momento giusto. In molte zone questo già avviene, e i risultati sono eccellenti. In altre, no. Il problema non è solo di soldi ma soprattutto di organizzazione. Di volontà politica. Di saper prendere a modello ciò che già che funziona.

    Quando si parla di emergenze, ogni minuto conta. E il rapporto Agenas ci dice che in Italia il valore di un minuto dipende ancora troppo da dove ci si trova.”

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    Landini, l’Ilva e il ponte sul Naviglio

    I lavori per il ponte sul Naviglio (fotografia da La Provincia Pavese)

    Cosa c’entra Landini, segretario nazionale della Cgil, con quel disastro amministrativo che sono stati (e sono) i lavori per il ponte sul Naviglio di Pavia? Mi è venuta in mente la polemica su quel cantiere – la cui vicenda potete ricostruire grazie agli articoli de La Provincia Pavese cercando nell’archivio on line (qui l’ultimo resoconto) – leggendo un bel pezzo de Il Foglio dedicato, criticamente, a Landini, e allo spreco delle risorse pubbliche. Insomma, in sintesi, il segretario della Cgil chiedeva più intervento pubblico per l’Ilva e gli veniva spiegato che l’intervento pubblico c’era stato ed era risultato un disastro. Mi è venuto da pensare che un progetto banale come la costruzione di un ponte, se affidato alle competenze pubbliche, può trasformarsi in un incubo procedurale.

    D’altro canto, ricordo che il record di velocità nella costruzione di un ponte è stato raggiunto in più occasioni con tecnologie e organizzazioni straordinarie, specialmente in Cina. Un caso emblematico riguarda la ricostruzione integrale di un ponte completata in sole 43 ore a Pechino, dove squadre di operai si sono alternate giorno e notte per smantellare il vecchio ponte e posizionare la nuova struttura, minimizzando l’impatto sul traffico ferroviario e stradale.

    Ma torniamo alla questione Ilva. Ecco l’articolo di alcuni giorni fa:

    Secondo Maurizio Landini, leader della Cgil, “serve un intervento diretto dello stato nella gestione Ilva”. Il segretario ha lanciato un appello da Bari, per mobilitare gli iscritti a partecipare alla manifestazione nazionale: 25 ottobre a Roma. Tutto legittimo, per carità, ma una domanda viene naturale: esiste qualcosa di più diretto dell’amministrazione straordinaria? Oggi sia Acciaierie d’Italia (la cosiddetta best company, che gestisce la parte produttiva) sia Ilva in “as” (la bad company che tiene a libro paga gli operai che non torneranno mai più in fabbrica) sono commissariate e dunque già nelle mani dello stato. I conti restano segreti, ma si sa che la best company perde circa 65 milioni al mese, che al 6 marzo 2025 aveva uno stato passivo di 5,4 miliardi e che dal 2023 al 2025 lo stato ha versato—tenetevi forte—oltre 1,4 miliardi di euro per mantenerla in vita: 680 milioni nel 2023, 320 nel 2024 e 450 nel 2025, anche attingendo al fondo sequestrato ai Riva e originariamente destinato alle bonifiche ambientali. A questi si aggiungono 200 milioni l’anno per la cassa integrazione “fine pena mai” di seimila lavoratori che non torneranno più in produzione. Tutto questo con Ilva già pubblica. Come pubblica è Dri Italia, società statale che con un euro di produzione spende 4,7 milioni, di cui 1,8 per il personale e 2,1 per servizi, oltre a centinaia di milioni in stipendi e consulenze, senza aver mai prodotto un chilo d’acciaio. Nel frattempo, facciamo notare a Landini, la produzione a Taranto è ulteriormente crollata: è accesso un solo altoforno, quello inaugurato dal ministro Adolfo Urso nell’autunno 2024 si è incendiato dopo sei mesi per lavori mal fatti, e la cassa integrazione è aumentata insieme ai costi. Se questo è “intervento diretto dello stato”, per renderlo ancora più diretto bisognerebbe forse nominare Landini e Antonio Decare nel cda. Ma tanto, come sempre, paga Pantalone. Landini, con tutto il rispetto, ma che stai dicendo?

    La sintesi sulla storia del ponte sul Naviglio grazie all’Ai:

    A Pavia, i lavori per il ponte sul Naviglio di viale Ludovico il Moro sono oggetto di una lunga e accesa polemica a causa di continui ritardi, disagi per i residenti del quartiere Città Giardino e danni economici per le attività locali. 

    Cronistoria e problematiche principali:

    • Ritardi e chiusura prolungata: Il ponte è stato chiuso al traffico per un intervento di manutenzione straordinaria, ma i lavori hanno subito notevoli rallentamenti e blocchi, causando la chiusura dell’attraversamento per oltre un anno.
    • Disagi per la viabilità: L’interruzione del collegamento ha creato gravi problemi di viabilità, costringendo residenti e automobilisti a percorrere lunghi percorsi alternativi, con conseguente aumento del traffico e dell’inquinamento nella zona.
    • Danni economici: Le attività commerciali nel quartiere Città Giardino hanno registrato perdite significative, con cali di fatturato fino al 70%, a causa della mancanza di transito e passaggio pedonale.
    • Polemiche sull’appalto: Nel corso del 2025 sono emerse diverse criticità relative all’assegnazione e alla gestione dell’appalto. A maggio, l’amministrazione comunale ha incontrato i residenti per spiegare i ritardi, attribuendoli all’impresa aggiudicataria, ma scatenando ulteriori polemiche da parte dell’opposizione, che ha evidenziato errori e lentezze nella procedura. Ad agosto, il Comune ha paventato la revoca dell’appalto, data l’inerzia della ditta, ma i lavori sono comunque proseguiti a singhiozzo.
    • Passerella pedonale temporanea: A giugno 2025, è stata installata una passerella pedonale temporanea per alleviare almeno i disagi dei pedoni, ma la soluzione non ha risolto i problemi per il traffico veicolare e ha continuato ad alimentare il malcontento.
    • Situazione attuale (ottobre 2025): I lavori procedono tra alti e bassi. A settembre è iniziato lo smantellamento della struttura da riparare, che è stata trasportata in officina. Le polemiche, tuttavia, non si sono placate, con i residenti che a fine settembre hanno chiesto risarcimenti per i danni subiti.
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    La fregatura del mezzo pubblico

    Per una serie di ragioni, sono andato a Milano un po’ di volte con mia moglie. In centro. Mi sono chiesto se fosse meglio utilizzare il mezzo pubblico o l’automobile privata, al di là della comodità. Probabilmente, questo è un ragionamento già fatto da altri, ma vale la pena ripeterlo con l’aiuto dell’Ai e le opportune correzioni (perché l’intelligenza artificiale ne “cicca” di dati). Ecco cosa di sintetizza l’Ai per il percorso in auto:

    Quindi, per il viaggio di andata e ritorno con sosta di un’ora e pagamento Area C, il costo complessivo è di circa 17-18 euro, secondo il tipo di carburante e la zona di parcheggio privilegiata.

    Poi, ieri, siamo andati a Milano utilizzando quasi solo i mezzi pubblici:

    Auto fino al parcheggio della stazione: costo 6 euro per la sosta. Poi 17,16 euro per il treno andata e ritorno. Complessivamente, dunque, 23,16 centesimi.

    Avremmo potuto utilizzare l’autobus cittadino invece dell’auto in sosta alla stazione, ma il costo sarebbe stato uguale. Vediamo ora i tempi di percorrenza. Utilizzando l’auto:

    Il tempo di percorrenza in auto da casa tua a Pavia fino a via Montesanto a Milano, partendo alle ore 13, è di circa 45-50 minuti. Vanno aggiunti 5/10 minuti per parcheggiare.

    Utilizzando auto (parcheggio alla stazione) e treno (tempo verificato avendo scelto questa opzione):

    Risultato: partendo alle 13 con l’auto da casa tua puoi essere in via Montesanto intorno alle 14:25-14:30, utilizzando la S13 e parcheggiando all’arrivo alla stazione di Pavia. Quindi 1 ora e 25 minuti.

    Ma se utilizzassi solo mezzi pubblici? Ecco:

    Partendo alle 13 da casa, puoi essere in via Montesanto intorno alle 14:15-14:20 usando solo bus e S13.

    Questo dato è da verificare, ma può essere vero se corrispondono gli orari del bus con quelli del treno relativamente all’orario in cui devo essere a Milano.
    In ogni caso, in auto ci si mette meno tempo e si spende la stessa cifra con i mezzi pubblici. La convenienza c’è soltanto se si viaggia singolarmente. Insomma, per i single vita facile, per coppie e famiglie il mezzo pubblico è troppo, troppo costoso. Bisogna essere ricchi per essere ecocompatibili.

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    L’aiuto ai soliti furbi (del catasto)

    La proposta della Lega per la legge di bilancio nazionale in approvazione in queste ore al consiglio dei ministri alla fine premierà i soliti furbi. Perché non bastano le – chiamiamole così- buone intenzioni verso la propria fascia di elettorato (economicamente medio-bassa), ma bisogna prima capire gli effetti delle decisioni che si vogliono prendere. La proposta della Lega recità occhio e croce così: per la Legge di Bilancio 2026, ha proposto l’esclusione completa della prima casa dal calcolo dell’Isee, sostenendo la necessità di non penalizzare chi possiede immobili di abitazione nell’accesso ai bonus come l’Assegno Unico e altre misure di welfare.​ La proposta punta a escludere dal calcolo dell’Isee tutte le prime case fino a un valore catastale di 100.000 euro. Oggi il sistema già prevede una franchigia di 52.500 euro; l’iniziativa della Lega prevedrebbe un’esclusione totale almeno sotto soglia, lasciando eventuali seconde case e altri immobili completamente conteggiati.​ La modifica, se approvata entro fine 2025, entrerebbe in vigore dal 2026 e amplierebbe il numero dei beneficiari di prestazioni legate all’Isee, con impatto diretto sull’accesso a numerose agevolazioni e bonus sociali.

    Potrebbe anche avere un senso, ma a condizione che i valori catastali delle abitazioni fossero aggiornati. In gran parte dei Comuni italiani non lo sono e quindi si rischia di favorire, per fare un esempio banale, chi ha un immobile di pregio con reddito basso ma quell’immobile è censito ancora, magari, come una casa in fascia A3. Come per l’evasione fiscale, i benefici rischiano di scivolare via da chi ne avrebbe davvero bisogno a favore di chi invece magari ricco non è certamente, ma può anche farne a meno. Sulla base delle ricognizioni dell’Agenzia delle Entrate e delle attività di controllo del 2025, si stima che vi siano almeno 1,2-2 milioni di immobili non censiti oppure “fantasma”, mai registrati al catasto o irregolari rispetto alle dichiarazioni catastali. Queste unità comprendono fabbricati rurali, abitazioni abusive, ampliamenti non dichiarati e costruzioni sconosciute al fisco in seguito ai controlli incrociati tra ortofoto satellitari, cartografie catastali e documentazione di lavori recenti.

    La situazione di Pavia

    Due abitazioni su tre delle 46.541 che a tutto il 2023 componevano la consistenza di immobili privati a Pavia sono classificate nella categoria catastale A3, quella cioè che identifica le «abitazioni di tipo economico», ovvero fino a 100 metri quadrati e 5 vani, con finiture non di lusso. Una percentuale elevata rispetto alla media dei capoluoghi italiani (che è del 40% circa), almeno in parte legata al fatto che il patrimonio immobiliare è particolarmente vecchio: basti pensare che – qui il dato è provinciale, ma applicabile a Pavia città – il 60% delle case è stato costruito prima del 1972 e il 18% addirittura prima del 1945, mentre gli alloggi classificati nelle categorie energetiche G e F, quelle peggiori dal punto di vista dei consumi (in genere sono anche le case più vecchie) sono oltre l’80%.
    poche case in a2.

    Se nella A3 figurano 30.201 case, nella categoria A2, che identifica «abitazioni di tipo civile» (superficie oltre i 100 metri quadrati, numero di vani catastali superiore a 5.5; presenza di due bagni; finiture di pregio) sono 7.997, vale a dire il 17% del totale, una quota decisamente inferiore alla media dei capoluoghi (40%).
    Rientrare nella categoria A3 comporta rendite catastali enormemente più basse rispetto alla A2, anche se la reale differenza qualitativa tra due abitazioni che figurano in una categoria o nell’altra a volte non è così evidente: se la rendita catastale media a Pavia delle abitazioni in A3 è pari a 421 euro (con una media di 85 metri quadrati di superficie), per quelle in A2 si passa a ben oltre il doppio, e cioè 986 euro (ma la superficie media sale a 132 metri quadrati).
    E la rendita impatta ovviamente sull’Imu (è quella la base di calcolo dell’imposta), il cui acconto per il 2025 va pagato entro il 16 giugno, con l’aliquota base che a Pavia sulle abitazioni è stata confermata all’1,06% (0,96% per se affittata o data in comodato): naturalmente il discorso vale solo per le seconde case nelle categorie A2 e A3, perché come è noto le uniche abitazioni principali, cioè dove si ha la residenza, per le quali va pagata l’imposta comunale sono quelle classificate in A1 (abitazioni signorili, a Pavia la rendita media è di 3.118 euro, con superficie media che sfiora i 400 metri quadrati), A8 (Ville, e qui la rendita sale a 3.776, la superficie media a 426 metri) e A9 (Castelli, palazzi storici e di pregio), assenti però sul territorio comunale. L’aliquota è dello 0,6% e si tratta comunque di una quota risibile del totale degli immobili: appena 58 (52 in A1 e 6 in A8), pari allo 0,12%.
    a4 e a7.
    La terza categoria di abitazioni più numerosa è la A4 (abitazioni popolari), presente a Pavia in 5.091 unità e in questo caso la rendita media scende a 158 euro (66 metri quadrati la superficie media), mentre la quarta è quella delle abitazioni in villini (A7): ce ne sono 2.930, la rendita media risale fin quasi al livello delle A2 (883 euro) e la superficie media a 156 metri.421 euro (85 mq), mentre le abitazioni in categoria A2 sono circa la metà come numero ma con rendita media di 986 euro (132 mq). Gli immobili di maggior prestigio (A1 e A8) sono solo 0,12% del totale, con rendite e superfici medie molto alte. L’aliquota IMU è confermata all’1,06% sulle abitazioni, 0,96% se affittata o data in comodato, mentre per le abitazioni principali (A1/A8/A9) l’aliquota è 0,6%. Il Comune di Pavia ha avviato nel 2025 la revisione degli strumenti urbanistici che includono anche la ridefinizione dei valori di riferimento per le trasformazioni immobiliari, ma al momento non risulta una revisione generalizzata e completata dei valori catastali di tutti gli immobili a livello comunale. È stato invece avviato il procedimento di redazione del Nuovo Documento di Piano del Piano di Governo del Territorio (PGT) con deliberazione della Giunta Comunale n. 204 del 31 marzo 2025, aprendo fino a maggio 2025 la possibilità di presentare proposte e osservazioni da parte dei cittadini e degli operatori. Gli aggiornamenti catastali a Pavia seguono quindi soprattutto le varianti urbanistiche, gli interventi edilizi significativi e le disposizione nazionali per chi ha eseguito lavori incentivati o significativi lavori di ristrutturazione (questa ultima parte è fonte La Provincia Pavese).