Tutto il buono del self publishing

Internet mi ricorda che senza l’autopubblicazione non avremmo Alla ricerca del tempo perduto di Proust o Gli indifferenti di Moravia. Ma davvero, oggi come oggi, l’autopubblicazione (self publishing) di libri e musica è riservata ai dilettanti allo sbaraglio, a quelli che non trovano una casa editrice o un produttore musicale perché “scarsi”? Per quello che personalmente mi riguarda, i libri che ho pubblicato (quattro, poca roba) hanno avuto un editore “vero”, nel senso che mi ha pagato. Ma per la musica, faccio da solo, autopubblico. In questo caso, perché probabilmente nessuno me la produrrebbe… Quel che conta è divertirsi. Ma, questioni personali a parte, l’autopubblicazione ha una sua ragione d’essere. Mi è venuto in mente di parlarne dopo una lettura di un trafiletto su un giornale. Leggo infatti sul Sole 24 Ore: “Dal crowdfunding fino a un approccio ancora più diretto e indipendente. Un modo per preservare il pieno controllo creativo, i diritti editoriali e i tempi di pubblicazione, arrivando a un pubblico globale e mantenendo la coerenza di scrivere storie ispiratrici per le nuove generazioni. È il percorso di Francesca Cavallo, autrice, imprenditrice, produttrice. Pugliese di nascita, dopo un periodo negli Usa ora è a Roma. Qui a Colle Oppio, in una ex bisca clandestina degli anni 70 sta realizzando il suo headquarter: uno studio per scrivere libri e una sala di incisione per registrare podcast. Dopo il successo mondiale Cavallo ha scelto di pubblicare il suo secondo libro per bambini, “Storie spaziali per maschi del futuro”, con il self publishing. Obiettivo: non aderire alle convenzioni”. Va poi detto che, parere personalissimo, si iniziano a trovare libri e musica interessantissimi autoprodotti e gli strumenti ci sono, eccome. Mentre, nello stesso tempo, buona parte dei libri e della musica prodotti secondo le regole tradizionali sono, rispettivamente, illeggibili e inascoltabili. E spesso, uno uguale all’altro. Quindi, ben venga l’autopubblicazione. D’altro canto, mi spiegava chi del mondo editoriale si occupa di professione, oggi gli autori che attraverso i canali tradizionali vendono più di 5mila copie sono davvero pochi. E Vannacci (scusate il paragone) ha venduto decine di migliaia di copie su Amazon.
Quello che sappiamo dall’Ai
Non esistono dati pubblici precisi su quante copie esatte vendano individualmente i libri autopubblicati su Amazon, ma le statistiche annuali mostrano un mercato molto ampio, con oltre un milione di autori che pubblicano tramite Kindle Direct Publishing (KDP) e oltre 500 milioni di dollari di royalties distribuite ogni anno. Origini e prime forme
Forme di autopubblicazione esistevano già nel Settecento, quando personalità come Madame Pompadour si dotarono di tipografie private per diffondere i propri scritti e influenzare il gusto letterario e politico francese. Nell’Ottocento, con la diffusione della stampa e l’alfabetizzazione di massa, aumentò il numero di autori che pubblicavano a proprie spese. Johann Wolfgang von Goethe fu tra i primi a farlo in Germania, anticipando la nascita dell’autore moderno come figura indipendente.
Molti grandi scrittori del Novecento cominciarono la propria carriera grazie all’autopubblicazione. Marcel Proust nel 1913 pubblicò a sue spese Dalla parte di Swann, primo volume de Alla ricerca del tempo perduto, dopo essere stato rifiutato da più editori. Jorge Luis Borges nel 1923 stampò autonomamente la raccolta poetica Fervor de Buenos Aires, regalandone copie ai critici letterari di Buenos Aires. Anche Margaret Atwood realizzò e distribuì da sola la sua prima raccolta poetica, Double Persephone (1961), con una tiratura artigianale di 220 copie. In Italia, Italo Svevo e Alberto Moravia si finanziarono da sé le prime opere, come Una vita e Gli indifferenti.