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    Poste Italiane, anche a Pavia i trasferimenti da ufficio a ufficio obbligatori (o quasi)

    Se in un ufficio postale “in eccedenza”? Verrai trasferito in un altro ufficio “in carenza”. La scelta del dipendente da trasferire, se non ci sarà stata una scelta “volontaria”, dipenderà dall’anzianità. Insomma, sei giovane, magari hai tre figli e tua moglie lavora, abiti e sei nell’ufficio postale dell’Oltrepo e ti ritrovi, per dire, al confine con Pavia, magari 300 km da fare ad andarci, 30 km da fare per tornare a casa. Ogni giorno. Questa situazione, che per fortuna dovrebbe riguardare pochi lavoratori in provincia di Pavia, entrerà nella fase operativa in queste settimane, con l’invio di mail dell’azienda ai lavoratori interessati (ossia, tutti quelli dell’ufficio in eccedenza) sulla basa di un accordo firmato dalla Cisl e dagli autonomi, ma respinto da Cgil e Uil.

    Spiega il comunicato nazionale di Poste Italiane: “Entro gennaio 2026, al termine della precedente Fase 1 di mobilità mirata su base volontaria, l’Azienda renderà noto l’aggiornamento delle sedi accipienti e cedenti e delle relative numeriche e, in coerenza con quanto previsto dall’Accordo Sindacale del 3 dicembre 2024, avvierà un processo di mobilità collettiva ai sensi dell’art. 39 del vigente CCNL. Nella medesima occasione saranno inoltre pubblicate le graduatorie, declinate per ciascun ufficio cedente, delle risorse non destinatarie di un trasferimento di mobilità mirata volontaria, individuate tramite il medesimo codice alfanumerico utilizzato per la redazione delle graduatorie di cui alla Fase 1. Le graduatorie saranno ordinate secondo i seguenti criteri di priorità: a parità di anzianità aziendale, minore anzianità anagrafica. Sulla base delle suddette graduatorie e nel rispetto delle previsioni legali e contrattuali in materia di trasferimento, sarà individuato, per ciascun UP, il numero massimo di risorse trasferibili, nel rispetto del limite di 20 km di distanza tra la sede di attuale assegnazione e la nuova sede”.

    La situazione di Pavia

    Le sedi “cedenti” di Pavia – quelle con troppo personale – sono: Garlasco, Pieve del Cairo, Vidigulfo e Voghera 2. Le sedi “accipienti” – quelle che riceveranno il personale – sono: Belgioioso, Confienza, Gambolò, Gravellona, Landriano, Lungavilla, Mirabello di Pavia, Pavia centro. I sindacati, ovviamente, segnalano la possibilità di fare ricorso se si compare nella temuta lista. Ricorso da fare rapidamente.

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    I soldi del Pnrr che non spende Pavia e il caso delle scuole che non li vogliono proprio

    I soldi del Pnrr che non servono a nessuno

    Siamo ormai alla fine dell’anno (insomma, manca poco) e val la pena fare qualche verifica sull’efficienza della provincia di Pavia nella gestione dei fondi pubblici. In particolare, i fondi del Pnrr. Utilizzando gli open data di Openpolis, emergono alcuni dati interessanti. Rispetto a un 36% dei pagamenti dei progetti Pnrr a livello nazionale cofinanziati dal Pnrr (ma il 44% dei finanziamenti Pnrr), una percentuale che ci serve a capire a che punto siano i lavori finanziati, in provincia di Pavia sono stati pagati solo il 15% dei progetti su 15 miliardi di risorse complessive su 3.391 progetti complessivi.

    Vediamo, su tutta la marea dei dati disponibili, alcune curiosità. Ad esempio, come stanno gli 8 progetti più importanti per importo. Come si vede l’intervento sul delta del Po è fermo al 9 per cento, quello della Galbani sul cambiamento del processo produttivo appare non aver mai completato alcunché, a zero anche il progetto di formazione medica specialistica e la creazione di un consorzio per la creazione di una struttura di ricerca radiofarmaceutica, e la realizzazione di percorsi formativi all’Its di Belgioioso. Gli altri tre progetti non superano il 50% dei pagamenti.

    I primi 8 progetti per valore

    Sul database si può curiosare incrociando i dati. Un solo esempio, per il Comune di Pavia. Si possono verificare i progetti a quota zero delle percentuali di pagamento. Eccone alcuni: la ristrutturazione della residenza Camillo Chiri di via Cardano, i percorsi formativi al liceo Olivelli, i due ecotomografi per il San Matteo, una lunga serie di progetti dell’Università di Pavia per formazione, corsi e così via, una incredibile marea di soldi (centinaia di migliaia di euro) per i percorsi formativi nelle scuole superiori di Pavia che nessuno sta spendendo (ma servivano risorse per le scuole, si lamentava), il recupero del collegio Don Bosco (accipicchia, ci sono quasi 6 milioni di euro da spendere), ci sono poi milioni e milioni di euro per l’efficientamento energetico di edifici che nessuno sta spendendo. Ma andate sul sito di Openpolis, e controllate quante e quante risorse per la scuola ci sono per la provincia di Pavia e per Pavia in particolare che nessuno spende. Se avanza qualcosa, tranquilli, posso spenderli io.

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    Italian Sounding? Beh, prima o poi doveva capitare (non è bello gioire per le disgrazie altrui, però…)

    Ora dire che si è contenti, sarebbe esagerato. Ma un pochino sì. Leggo sul Los Angeles Times che la FDA (l’agenzia federale statunitense che regola e supervisiona, tra l’altro,la sicurezza di prodotti alimentari) ha richiamato circa 1 milione e mezzo di confezioni di parmigiano grattuggiato per una possibile contaminazione da metalli. Ciò che mi ha incuriosito è che si tratta di alimenti, prodotti negli States da aziende americane, che copiano (male) i prodotti italiani, ossia quelli su cui Tramp amerebbe mettere ulteriori dazi per favorire, appunto, gli imprenditori Usa. Come è noto, infatti, negli Stati Uniti, i nomi dei prodotti alimentari italiani originali sono spesso soggetti al fenomeno dell’“Italian Sounding”. Ciò significa che i nomi originali sono usati, ma spesso in riferimento a prodotti locali che ne imitano solo il nome o l’estetica, senza rispecchiarne la ricetta o la provenienza autentica.

    Cito alcuni passaggi dell’articolo del Los Angeles Times per far comprendere di cosa parliamo: “(…) richiamate 235.000 casse di mozzarella grattugiata a basso contenuto di umidità e parzialmente scremata, inclusi i marchi: Always Save, Borden, Brookshire’s, Cache Valley Creamery, Chestnut Hill, Coburn Farms”; “Più di 15.000 casse di miscela di formaggio grattugiato in stile italiano”; “17 casse di miscela ai quattro formaggi finemente grattugiata in stile pizza Food Club”; “Più di 4.000 casse di miscela di mozzarella e formaggio cheddar dolce”. Sì, miscela di mozzarella e formaggio cheddar dolce: da arrestare tutti solo per l’idea.

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    Nuovo campo nomadi: e se arrivasse la fatina con la bacchetta magica? (no, non arriva)

    Per la serie “not in my back yard”, prosegue la novela sulla creazione di un nuovo campo nomadi. Oltre alla soluzione nei pressi della Riso Scotti, nell’area artigianale, in passato ci furono ipotesi su Pavia Ovest (bloccata dopo una quasi aggressione al sindaco del tempo), su Montebellino (sì, vicino alla piattaforma ecologica), nell’area adiacente al Carrefour, di fronte al carcere. E poiché si costruiscono case un po’ dappertutto, diventa difficile immaginare altre soluzioni. Nel frattempo, come è giusto che accada nel nostro Paese, di fronte a una decisione del centrodestra (area artigianale), il centrosinistra compatto si spaventa e fa marcia indietro. Grazie alla Regione, riesce a ficcare la testa nella sabbia e a rinviare di un anno. In dodici mesi di cose ne possono succedere: i nomadi, la quarantina di famiglie, evaporare per una strana reazione chimica, oppure trasferirsi tutte in un’altra città, o magari salta fuori una fatina e le trasforma in tanti bei cittadini in giacca, cravatta e borsa ventiquattr’ore.

    Per rendere però frizzanti i prossimi mesi, e dare spazio agli articoli sempre precisi e puntuali della Provincia Pavese sull’argomento, assessora Moggi e sindaco Lissia lasciano intendere che sì, stanno studiando un’altra collocazione. Ecco, non so perchè, ma questa frase in oltre trent’anni di giornalismo pavese, devo averla già sentita.

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    Buche nelle strade: e se processano Lissia, Palli e tutti gli altri amministratori? (Collegno docet)

    Buche, strade e ciclisti. Chi paga in caso di incidente?

    Direi che il sindaco Lissia e il presidente Palli (relativamente a Pavia e circondario, ma la questione riguarda tutto il territorio) possono tranquillamente costituirsi alla procura in attesa di un processo che prima o poi arriverà. Anche se molto dipenderà dall’esito di una vicenda che sembra cozzare contro il buon senso giuridico. La sintesi del fatto.

    L’ex sindaco di Collegno, Francesco Casciano, e un dirigente del Comune sono accusati di omicidio stradale per la morte in bicicletta di Aldovino Lancia, nel 2023. Pensionato di 70 anni, era caduto a causa di una buca sull’asfalto mentre pedalava tra strada vicinale di Berlia e via Rosa Luxemburg. Ricoverato in condizioni già gravi (non indossava il casco da bicicletta), è morto il giorno dopo l’arrivo in pronto soccorso.

    In buona sostanza, se cadi o hai un incidente per colpa di una buca, gli amministratori vanno a processo. Naturalmente, si tratta di una sciocchezza. In primo luogo perché secondo questo principio, il sindaco o l’assessore competente sarebbero penalmente (o civilmente) responsabili di qualsiasi danno provocato dalla loro amministrazione. Una responsabilità oggettiva insensata: per restare al caso delle buche, le risorse finanziarie per asfaltare, nello stesso istante, tutte le strade di una città (pensiamo a Milano) non ci sono e non ci saranno mai. La manutenzione viene programmata, e se cadi nella buca di una strada che sarà asfaltata solo domani? E il dirigente, poi, programma e appalta i lavori secondo la risorse che ha a disposizione, spesso coordinandosi con altri enti pubblici e privati (ad esempio le ex municipalizzate o che posa la fibra ottica) per evitare di asfaltare due o tre volte. E intanto, se cadi in bici nella buca, paga il sindaco oppure il dirigente. O l’assessore. O tutti e tre.

    Va da sè che la responsabilità oggettiva è una questione complessa. Se un amministratore delegato di Anas decide di fare la manutenzione a una strada o meno, a un ponte o a un altro, lo farà sulla base di indicazioni dei dirigenti. Come fa a essere responsabile in caso di cedimento di una struttura? Però, se a bilancio non mette le risorse per quell’intervento, diventa responsabile? Insomma, la questione è complessa. Vediamo cosa succede per il caso di Collegno. A sfogliare la pagina Facebook dell’osservatorio di L24, a Pavia e provincia tutti in galera.


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    La nuova piattaforma ecologica (non chiamatela discarica) in piazza della Vittoria

    La nuova piattaforma ecologica gemella di quella di Montebellino, anch’essa gestita da Asm, in piazza della Vittoria, a Pavia. Si tratta di decidere se sotto al Broletto o dall’altro lato, a far compagnia a Tiger. E’ poi così paradossale? Perché tutto ciò che nessuno vuole accanto a sè, secondo l’affermato not in my back yard (non nel mio cortile, per chi non mastica l’inglese), deve finire in periferia? Le logistiche, che creano traffico, inquinamento, lavoro povero e sfruttamento nelle cooperative; i campi nomadi; e le discariche o le isole ecologiche va tutte lì. Vorrebbero anche spostarci bar e locali notturni, per non infastidire troppo i residenti. Nelle nostre periferie, che pure sono gran parte della vita cittadina, spariscono negozi e servizi, avere una fermata in più dell’autobus è impresa titanica, non si vede un agente di polizia locale che sia uno, e il posteggio selvaggio nessuno lo sanziona.

    E allora, il peso della periferia se lo carichi sulle spalle, per una volta, il centro storico, e facciamo ‘sta isola ecologica, ‘sta piattaforma o discarica che sia, tra un bar e i suoi tavolini, tra un elegante negozio e una pizzeria. Diversamente, per una volta, ragioniamo con la città, l’invito è a chi governa, proviamo a immaginarla diversa. E allora lo sappiamo che servono piattaforme ecologiche per smaltire meglio, che ad accogliere i nomadi non può essere piazza Petrarca e che se possiamo fare a meno del lavoro povero delle logistiche staremmo tutti meglio. Discutiamone, senza pregiudizi.

    Oggi la Provincia Pavese, che come sempre ricordo di leggere ogni giorno, riporta molto bene queste vicende. Ricordo solo che, doveva essere il 2000, l’allora sindaco Andrea Albergati, uno dei sindaci migliori che Pavia abbia avuto, incontrò i residenti per l’ipotesi del campo nomadi nella zona di Pavia Ovest. Quasi lo aggredirono fisicamente, seguii la vicenda da cronista. E’ sempre stato così: not in my back yard, e siamo tutti contenti.

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    L’elenco degli autovelox e tutor autorizzati che sono in regola in provincia di Pavia

    Segnala l’amico (su Facebook) Lorenzo Botteri che il Ministero del trasporti ha reso noto l’elenco degli autovelox autorizzati. Cito Botteri: “Da ieri gli automobilisti possono consultare la mappa ufficiale di autovelox e Tutor sul sito velox.mit.gov.it/dispositivi. È la carta d’identità dei 3.625 apparecchi autorizzati in Italia: marca, modello, matricola, chilometro esatto e approvazione prefettizia. Un atto di trasparenza. Del resto, il decreto del direttore generale per la Motorizzazione era chiaro: chi non avesse registrato i propri strumenti, entro lo scorso weekend, avrebbe dovuto spegnerli. Il censimento non risolve però il cuore del problema: l’omologazione. La Cassazione ha chiarito con decine di decisioni costanti che se questa manca i dispositivi non possono produrre multe valide perché non basta l’approvazione del ministero dei Trasporti“.

    Per comodità allego qui l’elenco completo di quelli indicati come “Provincia di Pavia”. Inizialmente (e mi correggo) avevo dato il numero di 19 autovelox: in realtà (come mi ha fatto notare il collega della Provincia Pavese decisamente più preciso di me), sono 19 più i 36 di competenza dei singoli comuni. In ogni caso, ciò che conta è che ala link del ministero potete verificare se l’autovelox in cui siete incappati è in regola oppure no. In ogni caso, non correte mai che è meglio.

    Screenshot
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    I 155 anni della Provincia Pavese: più consapevoli se leggiamo i giornali (e qualche libro, su)

    Una vignetta del Washington Post che spiega il bisogno di buona informazione

    Il 10 dicembre, al teatro Fraschini (ore 17.30, ingresso libero), la Provincia Pavese festeggia i suoi 155 anni. Data curiosa, non tonda, solo cinque anni dopo la grande festa per i 150 anni dalla fondazione del giornale, questa sì cifra tonda. Ma la festa – lo dice chi come me è in pensione da tre giorni tre e che alla redazione di via Tasso prima e a quella di oggi in viale Canton Ticino 16, ci ha lavorato dal 1989 – è meritata. Perché è cambiata la proprietà, perché è stata rinnovata la redazione (già otto di noi sono in pensione, altri ci andranno presto) ed è più giovane, è cambiata la direzione, è rinnovato un po’ anche il modo di fare il giornale quotidianamente. Fatto sta che senza Provincia Pavese, e senza quotidiani in genere da poter leggere, si cresce meno, si conosce meno, si sceglie peggio. Come sempre, cito altri articoli per sostenere questa tesi.

    Un articolo del New York Times, tradotto da Il Foglio, ci ricorda:  “I dati mostrano un declino catastrofico in tutto il mondo: nel 2004 il 28 per cento degli americani leggeva; nel 2023, questa percentuale era scesa al 16. Secondo un sondaggio del 2022, uno su dieci non legge un libro da più di dieci anni. Ma la vera preoccupazione è il declino nella lettura tra i giovani. Nel 2022 i baby boomer americani leggevano più del doppio dei libri all’anno rispetto ai millennial e alla Generazione Z. La stessa situazione si verifica in Gran Bretagna. E quando le persone smettono di leggere – di dare un senso al mondo in cui vivono in base a ciò che leggono – perdono anche la capacità di dare un senso al linguaggio e di comunicare in modo efficace. La degradazione dell’alfabetizzazione equivale al degrado della vita civile stessa. In principio era la parola. E alla fine?”

    Già, alla fine? Alla fine non siamo più capaci di decidere, di giudicare, di capire. E ci facciamo, spesso, del male da soli. “L’antropologo Jack Goody e il critico letterario Ian Watt sostenevano che l’invenzione della scrittura, avvenuta in modo decisivo nell’antica Atene, rappresentò una svolta fondamentale. Se non ci fosse stata la nostra organizzazione sociale e politica intorno alla parola scritta, saremmo tornati indietro nel tempo piuttosto che in avanti”. Appunto.

    Ma la lettura dei giornali è anche una competenza. E con il passare del tempo, con quello che il testo precedenti ci ha sintetizzato, sempre meno persone leggeranno i giornali (e i libri) mentre quelle che lo faranno avranno appunto una competenza in più, una possibilità da spendere anche sul mercato del lavoro. Scrive Giuseppe De Filippi, sempre su Il Foglio: “Eccoci quindi al consiglio, che può riassumersi in un singolo precetto: cari giovani, leggete i giornali. Non tanto perché bisogna essere informati o perché bisogna recitare la preghiera quotidiana del buon uomo moderno, ma perché ormai il leggano davvero in pochi. Per un giovane, che anche se non vuole o non se ne accorge è in competizione con i suoi coetanei, i giornali diventano, proprio per la loro minore diffusione, uno strumento straordinario per accrescere quelle che un economista chiamerebbe asimmetrie informative, cioè condizioni strutturali di maggiore conoscenza degli sviluppi recenti riguardo a eventi (economici, sociali o politici) che toccano la vita di tutti. Siamo tutti sulla stessa barca ma qualcuno sa più cose della rotta, del funzionamento degli strumenti e consulta il bollettino dei naviganti”.

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    Lo Stato amico dei grandi evasori, ma la Regione severissima con quelli piccoli

    Se si tratta di incassare le tasse non pagate da imprese, commercianti, liberi professionisti e partite Iva varie, lo Stato, e in particolare la Lega, sono di manica larga. Per loro le tasse sono un “pizzo di Stato” e vai così che siamo un mondo davvero all’incontrario. Ma quando si tratta di “normali” cittadini, allora l’ente pubblico, in questo caso la Regione Lombardia, che dal centrodestra di manica larga nazionale è governata, allora non ha pietà. In questo senso si potrebbe commentare l’iniziativa della Cgil di queste ultime settimane sul pagamento dei ticket non saldati da parte di circa 20.000 cittadini. Molti dei quali, evasori inconsapevoli perché non del tutto informati sui diritti dell’esenzione.

    Una rapida sintesi, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

    • Contestazione del raddoppio: La Regione Lombardia ha imposto una sanzione amministrativa pari all’importo del ticket non pagato, raddoppiando di fatto la cifra dovuta. A differenza degli anni precedenti, questa sanzione non è annullabile nemmeno in caso di pagamento immediato.
    • Accanimento contro i cittadini: Lo SPI CGIL Lombardia definisce questo approccio un “inutile accanimento” contro i cittadini, spesso anziani e fragili, che potrebbero aver commesso errori in buona fede nel complicato meccanismo di autocertificazione dell’esenzione.
    • Problema di sistema: Il sindacato sostiene che il sistema di autocertificazione espone i cittadini all’errore e che spetterebbe alla Regione utilizzare i dati a sua disposizione (ATS, Agenzia delle Entrate) per attribuire correttamente i codici di esenzione, evitando disguidi come la confusione tra pensione bassa e pensione minima.
    • Supporto agli utenti: La CGIL e altre sigle sindacali (come la UIL) hanno invitato i cittadini che hanno ricevuto i verbali a non ignorarli, ma a rivolgersi alle proprie sedi territoriali per ricevere assistenza legale e supporto nella contestazione delle richieste.
    • Impegni non mantenuti: La CGIL ha criticato la legge regionale 17 dell’agosto 2022, ritenuta tardiva e lacunosa, e ha segnalato che gli impegni presi dalla Regione in passato per risolvere il problema non sono stati mantenuti. 

    In sintesi, la CGIL sta mobilitando i cittadini e offrendo supporto per contrastare legalmente le richieste di pagamento raddoppiate, puntando il dito contro un sistema regionale di accertamento che considera iniquo e incline a penalizzare gli errori in buona fede.

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    Tutti quei soldi per il dissesto idrogeologico in Oltrepo (ma non solo). C’è una strategia?

    L’alluvione in Indonesia (dal Guardian)

    Negli ultimi cinque o dieci anni credo, da giornalista caposervizio, di aver titolato e pubblicato qualche centinaio (forse di più) articoli che raccontavano come Comuni, Provincia e Regione avessero stanziato soldi, soldi e ancora soldi destinati al nostro Oltrepo per quello che conosciamo tutti come “dissesto idrogeologico”. Ora, non voglio neppure ipotizzare che siano soldi sprecati, ma la sensazione, in questi anni e contando un disastro dopo l’altro, è che sia mancata a livello nazionale, ma forse non solo, una strategia che si possa definire tale. Insomma, si vive – un classico italiano – di interventi a tampone (a tanti begli appalti). Come i bonus: qualcosa risolvono, ma poi si è da capo. Mi è venuto in mente guardando le due fotografie pubblicate dal Guardian e dal Washington Post sull’alluvione che in questi giorni ha colpito Indonesia, Thailandia e Sri Lanka, fotografie che ho accostato a un bell’articolo de Il Foglio del lunedì a firma di Giulio Boccaletti, scienziato e scrittore italo-britannico che è stato ricercatore associato onorario presso la Smith School of Enterprise and the Environment.

    L’articolo descrive come eventi recenti di piogge torrenziali, frane ed esondazioni mostrino che il rischio idrogeologico in Italia è ormai sistemico e non gestibile solo con interventi locali e d’emergenza dopo ogni disastro. L’autore osserva che, nel breve intervallo tra una catastrofe e l’altra, si scatena la caccia al colpevole, ma questo riflesso mediatico e politico impedisce di vedere le cause strutturali legate a come è stato occupato, costruito e trasformato il territorio negli ultimi decenni.​

    Si sostiene che la frequenza crescente degli eventi estremi rende inevitabile ripensare la gestione del suolo, delle aree agricole e dei versanti, puntando su manutenzione ordinaria, rinaturalizzazione, difesa delle aree di esondazione naturale dei fiumi e riduzione del consumo di suolo. Viene criticata l’idea che bastino grandi opere isolate o misure solo tecniche: senza una strategia complessiva di pianificazione del paesaggio, ogni intervento rischia di essere inefficace o addirittura controproducente.​

    L’articolo richiama anche il tema delle risorse pubbliche, ricordando che gli investimenti, inclusi quelli legati ai vincoli europei e al PNRR, dovrebbero essere orientati da una visione di lungo periodo, e non dall’urgenza del singolo disastro o dalla pressione dell’opinione pubblica. In questo quadro, alla politica viene chiesto uno sforzo di programmazione: definire priorità territoriali, integrare ambiente, agricoltura, urbanistica e protezione civile, fissare obiettivi misurabili di riduzione del rischio e assumersi responsabilità su orizzonti temporali che vadano oltre la singola legislatura.