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Pulcini maschi uccisi prima di nascere (per loro fortuna, potremmo dire)

Immagine generata dall’Ai “L’abbattimento selettivo dei pulcini maschi avviene perché, nelle linee genetiche selezionate per la produzione di uova, non sono economicamente utili. I pulcini maschi vengono eliminati poco dopo la schiusa tramite metodi come la triturazione o il gasaggio”. Decisamente crudele. Nascere maschi, tra gli uccelli da allevamento, non è esattamente un bel destino. Per fortuna, dal 2027 le cose cambieranno. Riportiamo dal sito del quotidiano La Stampa: “Dopo mesi di campagne e pressioni da parte delle associazioni animaliste, il Governo italiano ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che segna una svolta storica per l’industria delle uova. A partire dal 31 dicembre 2026, sarà vietato l’abbattimento sistematico dei pulcini maschi appena nati, una pratica che fino ad oggi portava ogni anno alla morte di circa 34 milioni di animali. Il provvedimento stabilisce le linee guida per l’introduzione delle tecnologie di sessaggio in ovo, che permettono di identificare il sesso dell’embrione prima della schiusa. Il decreto del 4 settembre 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, stabilisce le modalità di adeguamento degli incubatoi italiani alle nuove tecnologie per il sessaggio in ovo e definisce le misure di trasparenza da adottare nei confronti dei consumatori.
Le aziende avranno tempo fino alla fine del 2026 per adattare strutture e macchinari e potranno comunicare in etichetta che le loro uova provengono da allevamenti che non ricorrono all’abbattimento dei pulcini maschi.
Il decreto introduce anche la possibilità di aggiungere QR code o link informativi sulle confezioni, con l’obiettivo di favorire la sensibilizzazione sul benessere animale. Le informazioni diffuse dovranno essere “veritiere e verificabili”, come precisa il testo, e in caso contrario scatteranno sanzioni”.
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Rozzano, alla faccia della cultura cia cia cia (ovvero, La kultura poi ti kura)

Rozzano capitale della cultura italiana 2028 (dal sito della candidatura) A qualcuno sarà magari sfuggito, ma Rozzano – quarantunomila abitanti a sud di Milano e a due passi da Pavia – non è solo famosa per aver dato i natali a Fedez e per essere stata in passato culla della peggio deliquenza (anche organizzata, come la ‘Ndrangheta). Ora Rozzano è sulla bocca di tutti per essersi candidata a capitale della cultura italiana 2028. Della cultura? Cioè una cittadina-dormitorio, palazzoni e piazze deserte? Beh, Rozzano non è più solo quello da parecchi anni. Le amministrazioni che si sono alternate hanno trasformato, a fatica, cemento e immigrazione in integrazione, progetti, iniziative, piste ciclabili e persino molto verde. La questione più interessante è la definizione di “cultura” che non è più – non deve essere più – solo un museo, un convegno, un monumento che ci fa dire “ohhhh”. Ma è anche “infrastruttura pubblica”. Già. Qualcosa di completamente diverso e che, per capirci subito, Pavia fatica enormemente a comprendere.
Leggiamo dal sito della candidatura, dove la frase che ci piace di più è: “Rozzano 2028 è un progetto collettivo, metropolitano, inclusivo. Non chiede un titolo per sé: propone un metodo per l’Italia.”
E dunque “Rozzano si candida a Capitale Italiana della Cultura 2028 con una visione radicale e urgente: rimettere la cultura, l’arte e la creatività al centro della vita urbana, come strumenti di partecipazione, riscatto sociale e rigenerazione collettiva. In un tempo segnato da fratture e disuguaglianze, Rozzano si propone come laboratorio metropolitano di cucitura: tra le case popolari e le aree residenziali, tra memorie operaie e nuove generazioni, tra la città e Milano. Non più periferia che chiede attenzione, ma centro attivo di partecipazione civica.
Con circa 41.000 abitanti e una delle più alte densità di edilizia pubblica in Italia, Rozzano trasforma ciò che è stato spesso letto come fragilità in risorsa. Le case ALER, i cortili, i parchi e le reti sociali diventano scenari e motori di un progetto culturale coraggioso, partecipato, trasformativo. Cultura come infrastruttura pubblica, come atto d’amore verso la città. La candidatura nasce in sinergia con il grande piano di rigenerazione “Caivano bis – Modello Rozzano”, e lo amplia: alla ricostruzione fisica si affianca una ricostruzione simbolica e culturale. Le scuole, le strade, gli impianti sportivi e gli oratori si animano di teatro, musica, arte pubblica, danza urbana, cene condivise, narrazioni popolari.
Rozzano 2028 è un progetto collettivo, metropolitano, inclusivo. Non chiede un titolo per sé: propone un metodo per l’Italia. Un modello culturale che parte dal basso, integra generazioni e origini diverse, rafforza legami, genera bellezza”.
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Consumo di suolo, Pavia messa maluccio (il nuovo rapporto Ispra 2025)

Immagine generata dall’Ai Il territorio italiano cambia ancora: nel 2024 sono stati coperti da nuove superfici artificiali quasi 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente. Con oltre 78 km2 di consumo di suolo netto si tratta del valore più alto dell’ultimo decennio. A fronte di poco più di 5 km² restituiti alla natura, il quadro resta sbilanciato: ogni ora si perde una porzione di suolo pari a circa 10mila metri quadrati, come se dal mosaico del territorio venisse staccato un tassello dopo l’altro.
Sono i dati del Rapporto SNPA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” di Ispra, che fotografa con precisione l’evoluzione di un fenomeno capace di incidere sulla qualità della vita, sull’ambiente e sugli ecosistemi. Il documento non si limita a registrare le criticità: emergono anche esperienze di rigenerazione e rinaturalizzazione che mostrano come invertire la rotta sia possibile.
Pavia non è messa benissimo: si piazza in 36esima posizione con un consumo di suolo in aumento nel 2024 del 9,6 per cento, comunque sotto la media lombarda, contro, va detto, il 41 per cento della provincia di Monza e Brianza. Pavia capoluogo ha un dato negativo con un consumo di suolo del 23,42 per cento. Qui sotto le tabelle di sintesi, mentre il rapporto completo è scaricabile dal sito di Ispra.

In dettaglio, al 2024 in 15 regioni risulta ormai consumato più del 5% di territorio, con massimi in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%). Il maggiore consumo di suolo annuale si osserva in Emilia-Romagna, che, con poco più di 1.000 ettari consumati (86% di tipo reversibile), è la regione con i valori più alti sia per le perdite sia per gli interventi di recupero, in Lombardia (834 ettari), Puglia (818 ettari), Sicilia (799 ettari) e Lazio (785 ettari). La crescita percentuale maggiore dell’ultimo anno è avvenuta in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l’Emilia-Romagna si ferma al +0,50%. Anche La Valle d’Aosta, che resta la regione con il consumo inferiore, aggiunge comunque più di 10 ettari di nuovo consumo. La Liguria (28 ettari) e il Molise (49 ettari) sono le uniche regioni, insieme alla Valle d’Aosta, con un consumo al di sotto di 50 ettari.
Pannelli fotovoltaici
Un altro dato interessante emerso dal report riguarda il consumo di suolo dovuto ai nuovi pannelli fotovoltaici, che risulta quadruplicato: si passa dai 420 ettari del 2023 a oltre 1.700 ettari del 2024 (dei quali l’80% su superfici precedentemente utilizzate ai fini agricoli) di suolo ricoperto, un aumento notevole se si considerano i 75 ettari e i 263 rilevati rispettivamente nel 2022 e nel 2023. Tra le regioni che destinano più territorio a questo tipo di impianti spiccano Lazio (443 ettari), Sardegna (293 ettari) e Sicilia (272 ettari). Passa, infine, dai 254 ettari del 2023 ai 132 ettari del 2024 la superficie destinata agli impianti fotovoltaici a terra come l’agrivoltaico che, limitando l’impatto sul suolo, non vengono considerati tra le cause di consumo.