Stati Uniti, un Paese che non si riconosce più e che fa paura: sembra di essere in Iran

Sul Washington Post si racconta la storia di Rosales, un ventenne nato negli Usa, la famiglia regolare di origine messicana, che torna a casa dal parco spaventato, a Chicago, perché per strada gli agenti dell’immigrazione fermano tutti quelli che hanno tratti somatici come i suoi. Ha appunto i tratti di un “latinos”, quindi il suo destino è di essere fermato, portato in una cella, magari per quattro o cinque giorni finché non sarà verificata la sua “regolarità”. Alla madre racconta che non andrà più al parco. I diritti, negli Stati Uniti, sono sospesi se non sei bianco. I giornalisti del Washington Post, in una bella pagina di alcuni giorni fa, raccontano la paura costante degli “stranieri” regolarissimi negli Usa, del terrore nel camminare per strada ed incontrare l’ICE (Immigration and Customs Enforcement), appunto la polizia dell’immigrazione. Ma che Paese sono diventati gli Stati Uniti? E noi, in Italia, vogliamo imitarli?
Racconta ancora il quotidiano statunitense in quella pagina che lo studente liceale Reggie Robles, cittadino statunitense che aveva recentemente subito un intervento al cuore, è scappato dagli agenti federali il 3 ottobre, dopo aver sentito voci di agenti che stavano facendo “sparire le persone”. Robles si è nascosto in una lavanderia a gettoni: “Ho sempre pensato che se mi fossi fatto gli affari miei e non avessi infranto nessuna legge, sarei stato al sicuro. Ora non lo so”. Un’altra donna, Maria Diaz, cittadina statunitense nata in Messico e arrivata negli Stati Uniti da bambina, è stata arrestata dopo un raid dell’ICE, sempre il 3 ottobre 2025, mentre andava al lavoro. Nonostante abbia detto agli agenti di essere cittadina statunitense, l’hanno arrestata e trattenuta per 12 ore prima di rilasciarla. Diaz è tornata al lavoro ma è “traumatizzata” e si sente ancora come se dovesse “guardarsi alle spalle”, tanto da considerare di lasciare Chicago.
Leggo da Open: “La nuova proposta dello U.S. Customs and Border Protection prevede la raccolta di un’ampia quantità di dati personali, inclusa la revisione fino a cinque anni della loro attività sui social. Protestano le associazioni del settore turistico. I viaggiatori provenienti da Paesi come Italia, Regno Unito, Francia, Germania, Corea della Sud e da tutte le altre nazioni aderenti al Visa Waiver Program potrebbero presto essere sottoposti a controlli molto più invasivi prima di entrare negli Stati Uniti. Una nuova proposta di U.S. Customs and Border Protection (C.B.P.), depositata nel Federal Register, prevede infatti la raccolta di un’ampia quantità di dati personali, inclusa la revisione fino a cinque anni della loro attività sui social media
Attualmente, chi viaggia nell’ambito del Visa Waiver può restare negli Stati Uniti fino a 90 giorni senza un visto, purché richieda online l’autorizzazione Esta, valida due anni e ottenibile fornendo informazioni di base e pagando una tariffa di 40 dollari. Con la nuova proposta, però, l’iter cambierebbe radicalmente, scrive il New York Times. Ai richiedenti potrebbe essere infatti chiesto di dichiarare tutti gli account social utilizzati negli ultimi cinque anni, gli indirizzi email dell’ultimo decennio e i dati anagrafici completi di familiari diretti, inclusi genitori, coniugi, fratelli e figli.
Ma che Paese sono diventati gli Stati Uniti?
