Economia
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Vino e business, le alternative possibili in Oltrepo: un rapporto che spiega molto

Enoturismo, un business anche in Oltrepo? (foto da Ai) La crisi delle cantine oltrepadane ferisce il territorio e chi ci lavora. Ma in tutta Italia, che è un paese del buon vino, fioriscono le alternative che possono generare business. Una lezione che può essere di stimolo anche per l’Oltrepo. Secondo un articolo de Il Sole 24 Ore, infatti, “per il 18% delle cantine con attività strutturate dedicate all’enoturismo, l’ospitalità genera oltre il 60% dei ricavi. Un dato che conferma come l’accoglienza sia sempre più importante per le aziende vitivinicole e che arriva da una ricerca a cura di Roberta Garibaldi (docente all’Università di Bergamo e presidente dell’Associazione italiana turismo enogastronomico) e Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) presentata in occasione di “Fine, WineTourism Marketplace Italy”, prima edizione del salone interamente dedicato all’enoturismo, organizzato da Riva del Garda Fierecongressi in collaborazione con Feria del Valladolid, che nei giorni scorsi fatto incontrare oltre 70 realtà attive nel campo”.
I dati del rapporto
Da rapporto, spiega ancora Il Sole 24 Ore, – rapporto basato su un campione di 200 imprese di grandi e piccole dimensioni, costruito «per rappresentare le realtà più attive in ambito enoturistico» – emerge come, pur essendo le attività di accoglienza ancora gestite nel 63% dei casi in maniera diretta (solo il 12% ha creato una business unit dedicata e scorporata), la metà delle realtà coinvolte abbia dedicato all’accoglienza dai 5 ai 9 addetti e, nel 17%, ben oltre i dieci addetti. Questi sono dedicati non solo a visite e degustazioni, ma anche a ristorazione (36% delle aziende) e di pernottamento (30%). Tre le esperienze offerte ci sono anche eventi culturali (59%) e l’organizzazione di cerimonie (22%). Per le visite, le degustazioni e i corsi, in circa la metà dei casi il prezzo medio è compreso tra 36 e 50 euro, mentre nel 23% supera i 50 euro. Con un impatto importante in termini economici: il 49% degli intervistati dichiara un’incidenza dell’enoturismo sul profitto aziendale fino al 30%, il 33% tra il 31% e il 60%, ed il 18% oltre il 60. Rispetto al contesto internazionale, le cantine italiane valorizzano più efficacemente il paesaggio vitivinicolo, proponendo visite in vigneto come asset esperienziale (90% contro 61% nel mondo) e visite in cantina (+22%). Il 68% delle aziende ha accolto tra 100 e 2mila visitatori l’anno, mentre solo una piccola parte (5%) ha superato quota 5mila con gli stranieri che rappresentano poco più del 30% (contro il 43% in Europa). La promozione dell’offerta enoturistica passa sempre più dai social: il 90% delle aziende utilizza Facebook e l’88% Instagram; meno YouTube (17%) e TikTok (8%). Ma l’uso delle tecnologie più avanzate è ancora limitato: meno dell’1% impiega chatbot basati sull’intelligenza artificiale. Degli investimenti complessivi realizzati dalle aziende nell’ultimo triennio, solo l’1,2% è stato destinato a soluzioni basate sull’intelligenza artificiale e il 2,9% ai sistemi Crm per la gestione dell’offerta enoturistica. Sul fronte delle vendite, prevalgono i canali diretti – telefono ed e-mail – solo un quarto delle aziende si affida alle piattaforme di esperienze online e il 27% collabora con agenzie di viaggio o tour operator”.
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Pulcini maschi uccisi prima di nascere (per loro fortuna, potremmo dire)

Immagine generata dall’Ai “L’abbattimento selettivo dei pulcini maschi avviene perché, nelle linee genetiche selezionate per la produzione di uova, non sono economicamente utili. I pulcini maschi vengono eliminati poco dopo la schiusa tramite metodi come la triturazione o il gasaggio”. Decisamente crudele. Nascere maschi, tra gli uccelli da allevamento, non è esattamente un bel destino. Per fortuna, dal 2027 le cose cambieranno. Riportiamo dal sito del quotidiano La Stampa: “Dopo mesi di campagne e pressioni da parte delle associazioni animaliste, il Governo italiano ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che segna una svolta storica per l’industria delle uova. A partire dal 31 dicembre 2026, sarà vietato l’abbattimento sistematico dei pulcini maschi appena nati, una pratica che fino ad oggi portava ogni anno alla morte di circa 34 milioni di animali. Il provvedimento stabilisce le linee guida per l’introduzione delle tecnologie di sessaggio in ovo, che permettono di identificare il sesso dell’embrione prima della schiusa. Il decreto del 4 settembre 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, stabilisce le modalità di adeguamento degli incubatoi italiani alle nuove tecnologie per il sessaggio in ovo e definisce le misure di trasparenza da adottare nei confronti dei consumatori.
Le aziende avranno tempo fino alla fine del 2026 per adattare strutture e macchinari e potranno comunicare in etichetta che le loro uova provengono da allevamenti che non ricorrono all’abbattimento dei pulcini maschi.
Il decreto introduce anche la possibilità di aggiungere QR code o link informativi sulle confezioni, con l’obiettivo di favorire la sensibilizzazione sul benessere animale. Le informazioni diffuse dovranno essere “veritiere e verificabili”, come precisa il testo, e in caso contrario scatteranno sanzioni”.
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Soldi dimenticati, soldi buttati e soldi risparmiati (sempre di meno, purtroppo)

Foto generata dall’Ai Simone Spetia durante la rassegna stampa di Radio 24, che ascolto ogni mattina, questa volta ha superato la sua pur nota capacità di fare collegamenti tra le varie notizie della giornata comparse sui quotidiani. Stavolta ci racconta bene come “non” funziona la gestione del bene pubblico, che non è questione di destra o sinistra, ma di un’apparato dirigente e di alti funzionari dello Stato non in grado di far marciare la macchina amministrativa del Paese (o di costruire un ponte sul Naviglio o di rimettere a norma in tempo utile l’unica biblioteca civica di una città, due casi così per dire). Durante il consiglio dei ministri, infatti, la Meloni, a fronte delle richieste di soldi per una spesa o per l’altra, per un taglio da evitare o un altro da limitare, ha sbottato: ma utilizzate invece i fondi di coesione. Già, i fondi di coesione. Non voglio annoiare, ma – ricordava appunto Spetia durante la rassegna stampa – la bistrattata Europa ha assegnato all’Italia 74 miliardi di euro (settantaquattro) da spendere in otto anni. Ebbene, dopo quattro anni l’Italia è riuscita a spenderne non la metà, come sarebbe ragionevole credere, ma soltanto l’8 per cento. I ministeri chiedono soldi ma non sanno utilizzare quelli che hanno (e neppure le Regioni, in parte beneficiarie di quei fondi). Scrive infatti il Sole 24 Ore nell’articolo che potete trovare on line: il monitoraggio “fotografa la situazione dei fondi strutturali esattamente a metà del guado: al 31 agosto del 2025, quindi dopo quattro anni e mezzo e quando ne mancano quasi altrettanti alla scadenza per la rendicontazione dei pagamenti (fissata al 2029) – la spesa è ferma a poco meno di di 6 miliardi cioè l’8 per cento dei 74,8 miliardi (42,7 di risorse europee e 32,1 di cofinanziamento nazionali) disponibili in totale tra fondi Fesr, Fse+, Just transition fund e Feampa. La quota di risorse impegnate è invece pari al 27,1 per cento”.
E io pago (anzi, io soffro): va mica tanto bene, caro governo
Mentre i ministeri, gli alti funzionari, i grandi e piccoli dirigenti di Stato, di Regioni e di Comuni, non riescono a spendere, o spendono male (quando non sprecano) i soldi che hanno a disposizione, il resto del mondo, ossia le famiglie italiane faticano sempre di più ad arrivare a fine mese. Non lo sostiene qualche pericoloso comunista e non si tratta di bugie dell’opposizione. No, lo dicono i numeri, le statistiche, ossia ciò che chi governa odia di più. Infatti, leggiamo su Milano e Finanza, che solo il 41% delle famiglie italiane riesce a risparmiare qualcosa, il 5% in meno dell’indagine precedente. Insomma, ci sono meno soldi e quelli che ci sono vengono spesi tutti. Nel 2025 le famiglie che risparmiano sono il 41%, in contrazione rispetto al 46% del 2024, il dato più basso dal 2018. “E anche le aspettative per i prossimi 12 mesi indicano una ulteriore flessione della capacità di risparmio. La conseguenza di questa crescente difficoltà a risparmiare, unita a una decisa volontà di farlo anche per le famiglie in difficoltà, è che tre italiani su quattro sono in grado di affrontare spese di piccola entità (1.000 euro), ma è sempre più ridotto il numero di famiglie (36%) che può assorbire senza problemi una spesa rilevante (10.000 euro). É quanto emerge dall’indagine realizzata da Acri in collaborazione con Ipsos, in occasione della 101esima giornata mondiale del risparmio”.
