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    I 155 anni della Provincia Pavese: più consapevoli se leggiamo i giornali (e qualche libro, su)

    Una vignetta del Washington Post che spiega il bisogno di buona informazione

    Il 10 dicembre, al teatro Fraschini (ore 17.30, ingresso libero), la Provincia Pavese festeggia i suoi 155 anni. Data curiosa, non tonda, solo cinque anni dopo la grande festa per i 150 anni dalla fondazione del giornale, questa sì cifra tonda. Ma la festa – lo dice chi come me è in pensione da tre giorni tre e che alla redazione di via Tasso prima e a quella di oggi in viale Canton Ticino 16, ci ha lavorato dal 1989 – è meritata. Perché è cambiata la proprietà, perché è stata rinnovata la redazione (già otto di noi sono in pensione, altri ci andranno presto) ed è più giovane, è cambiata la direzione, è rinnovato un po’ anche il modo di fare il giornale quotidianamente. Fatto sta che senza Provincia Pavese, e senza quotidiani in genere da poter leggere, si cresce meno, si conosce meno, si sceglie peggio. Come sempre, cito altri articoli per sostenere questa tesi.

    Un articolo del New York Times, tradotto da Il Foglio, ci ricorda:  “I dati mostrano un declino catastrofico in tutto il mondo: nel 2004 il 28 per cento degli americani leggeva; nel 2023, questa percentuale era scesa al 16. Secondo un sondaggio del 2022, uno su dieci non legge un libro da più di dieci anni. Ma la vera preoccupazione è il declino nella lettura tra i giovani. Nel 2022 i baby boomer americani leggevano più del doppio dei libri all’anno rispetto ai millennial e alla Generazione Z. La stessa situazione si verifica in Gran Bretagna. E quando le persone smettono di leggere – di dare un senso al mondo in cui vivono in base a ciò che leggono – perdono anche la capacità di dare un senso al linguaggio e di comunicare in modo efficace. La degradazione dell’alfabetizzazione equivale al degrado della vita civile stessa. In principio era la parola. E alla fine?”

    Già, alla fine? Alla fine non siamo più capaci di decidere, di giudicare, di capire. E ci facciamo, spesso, del male da soli. “L’antropologo Jack Goody e il critico letterario Ian Watt sostenevano che l’invenzione della scrittura, avvenuta in modo decisivo nell’antica Atene, rappresentò una svolta fondamentale. Se non ci fosse stata la nostra organizzazione sociale e politica intorno alla parola scritta, saremmo tornati indietro nel tempo piuttosto che in avanti”. Appunto.

    Ma la lettura dei giornali è anche una competenza. E con il passare del tempo, con quello che il testo precedenti ci ha sintetizzato, sempre meno persone leggeranno i giornali (e i libri) mentre quelle che lo faranno avranno appunto una competenza in più, una possibilità da spendere anche sul mercato del lavoro. Scrive Giuseppe De Filippi, sempre su Il Foglio: “Eccoci quindi al consiglio, che può riassumersi in un singolo precetto: cari giovani, leggete i giornali. Non tanto perché bisogna essere informati o perché bisogna recitare la preghiera quotidiana del buon uomo moderno, ma perché ormai il leggano davvero in pochi. Per un giovane, che anche se non vuole o non se ne accorge è in competizione con i suoi coetanei, i giornali diventano, proprio per la loro minore diffusione, uno strumento straordinario per accrescere quelle che un economista chiamerebbe asimmetrie informative, cioè condizioni strutturali di maggiore conoscenza degli sviluppi recenti riguardo a eventi (economici, sociali o politici) che toccano la vita di tutti. Siamo tutti sulla stessa barca ma qualcuno sa più cose della rotta, del funzionamento degli strumenti e consulta il bollettino dei naviganti”.

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    Pavia e la qualità della vita: siamo la provincia peggiore della Lombardia

    Non ve la sto a fare troppo lunga. Pavia ancora bocciata da una classifica. Stavolta dalla classifica sulla qualità della vita 2025 che stamane pubblica il quotidiano Il Sole 24 Ore che vi suggerisco di acquistare anche se non siete dei maniaci delle questioni finanziarie o economiche. Pavia, dunque, si piazza 56esima per qualità della vita perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno. Nessuna sorpresa se in testa troviamo Trento, Bolzano e Udine. Lì, nel nordest, si vive meglio. Anche se ci trascorri soltanto una settimana di vacanza te ne rendi conto. Meglio di Pavia, in Lombardia, ci stanno Bergamo, Milano, Cremona, Lecco, Monza Brianza, Sondrio, Como, Brescia, Mantova, Varese e Lodi. Cioè, siamo ultimi. Tutti i dettagli, appunto, su Il Sole 24 Ore.

    Amen.

    Ps. All’amico di Facebook che dice che sembro goderci a parlare male di Pavia, ricordo che i numeri sono numeri. Poi ognuno ci fa le valutazioni che vuole. A Pavia voglio bene, ma accidenti, diamoci una mossa.

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    L’incubo di vivere in un brutto Paese. Una storia tristissima dagli States

    Il titolo del Los Angeles Times

    Ma voi vorreste vivere in un Paese del genere? Il sogno americano un par di ciufoli. E’ un incubo americano. La storia riportata nell’articolo del Los Angeles Times è la seguente, per punti.

    • L’accaduto: Any Lucia Lopez Belloza, una studentessa di 19 anni del Babson College, è stata fermata all’aeroporto di Boston mentre cercava di volare in Texas per il Ringraziamento e, nel giro di due giorni, è stata deportata in Honduras (paese che aveva lasciato all’età di 7 anni).
    • La motivazione ufficiale: L’agenzia per l’immigrazione (ICE) sostiene che esistesse un ordine di espulsione a suo carico risalente al 2015.
    • La difesa: L’avvocato della ragazza afferma che lei non era a conoscenza di tale ordine e che, secondo i documenti in loro possesso, il suo caso era stato chiuso nel 2017.
    • Violazione legale: La deportazione è avvenuta violando un ordine di emergenza emesso da un giudice federale, che aveva esplicitamente vietato al governo di trasferire la studentessa fuori dagli Stati Uniti per almeno 72 ore.
    • La situazione attuale: La ragazza si trova ora in Honduras con i nonni, devastata per essere stata separata dalla famiglia (rimasta negli USA) e per aver visto infrangersi il suo sogno di studiare economia.
    • Lopez Belloza, che ora si trova con i nonni in Honduras, ha detto al Boston Globe che non vedeva l’ora di raccontare ai suoi genitori e alle sorelle minori del suo primo semestre di studi in economia (business).

    “Quello era il mio sogno”, ha detto. “Sto perdendo tutto”.

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    Se vivi negli States non devi nascere tacchino (ma anche: tacchino, ma quanto mi costi?)

    Ogni mondo è paese e ogni quotidiano, per quanto importante sia, non riesce a negarsi un articolo trito e ritrito. Che per quello che mi riguarda, stavolta mi incuriosisce. Infatti, su Usa Today mi sono imbattuto sul classico paginone dedicato alla Festa del Ringraziamento (il 27 novembre). Sotto che profilo? Un classico di sempre: quanto ci costerà l’inevitabile cena con famiglia e amici più cari? O meglio, quanto ci costerà cucinare il tacchino secondo le regole Usa?

    I giornalisti hanno visitato negozi in tutto il paese per calcolare il costo degli ingredienti essenziali: tacchino surgelato (16 libbre), salsa di mirtilli (1 lattina), latte intero (1 pinta), burro non salato (1 libbra), preparato per torta di zucca (1 lattinaL’American Farm Bureau Federation ha condotto il suo 39° sondaggio annuale sui costi del Ringraziamento, rilevando una diminuzione del 5% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, i prezzi sono saliti del 19% dal 2021.​

    Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics, i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 29% dal 2019, anche se sono rimasti sostanzialmente stabili nell’ultimo anno.​

    L’articolo cita diverse cause delle fluttuazioni: l’influenza aviaria che ha colpito milioni di galline e tacchini, riducendo l’offerta; le politiche agricole dell’amministrazione Trump che hanno riconosciuto la carenza di manodopera; e periodi di siccità negli stati produttori di mirtilli come Massachusetts, Wisconsin e Oregon), uova (1 dozzina), carote (1/2 libbra), sedano (1/2 libbra) e patate arrosto (1 libbra).​

    Le tre ricevute (regolarmente pubblicate) mostrano:

    • Venture Food Stores (Colchester, Kansas): $48,88
    • Giant (Washington, D.C.): $57,19
    • Publix (Royal Palm Beach, Florida): $28,87

      Insomma, si può cenare e non spendere neppure troppo, a condizione di non acquistare altre non se non il tacchino con tanto di contorno.

      La ricetta tradizionale per cucinare il tacchino nel Giorno del Ringraziamento

    • La ricetta tradizionale del tacchino del Ringraziamento americano prevede una preparazione relativamente semplice che enfatizza la succulenza e il sapore attraverso un burro aromatico alle erbe.
    • Ingredienti Base
    • Per un tacchino da 12-16 libbre (circa 5,5-7,5 kg):
    • Tacchino intero
    • 1 tazza di burro non salato ammorbidito
    • Aglio tritato (6-8 spicchi)
    • Erbe fresche: rosmarino, timo e salvia
    • Sale e pepe nero
    • 1 cipolla, 1 limone e 1 mela tagliati a spicchi
    • Verdure per la teglia: carote, sedano, cipolle
    • Preparazione Tradizionale
    • Marinatura (facoltativa): Molte ricette tradizionali prevedono una salamoia il giorno prima con sale kosher, zucchero di canna, brodo vegetale e spezie come pepe nero, bacche di pimento e chiodi di garofano.
    • Burro aromatico: Si prepara mescolando burro morbido con aglio tritato, erbe fresche tritate (rosmarino, timo, salvia), sale e pepe. Alcuni aggiungono scorza d’arancia grattugiata per un tocco agrumato.
    • Farcire la cavità: Si riempie l’interno del tacchino con cipolla, limone, mela e rametti di erbe fresche. Questo conferisce sapore dall’interno.
    • Preparare la pelle: Con le dita si solleva delicatamente la pelle del petto e si spalma il burro aromatico direttamente sulla carne. Il resto del burro viene spalmato su tutta la superficie esterna.
    • Cottura
    • Si preriscalda il forno a 325°F (circa 165°C). Il tempo di cottura è di circa 13-15 minuti per libbra, fino a raggiungere una temperatura interna di 165°F (74°C) nella parte più spessa della coscia.
    • Alcuni cuochi iniziano con una temperatura più alta (425°F per la prima ora con il tacchino capovolto, poi 325°F girato con il petto verso l’alto) per ottenere una doratura perfetta. Durante la cottura si spennella periodicamente con i succhi della teglia ogni 30 minuti.
    • Una volta cotto, il tacchino deve riposare coperto con carta stagnola per almeno 20 minuti prima di essere tagliato.
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    Pedoni, una vita spericolata e pericolosa. Lo sanno persino a Washington

    Vignetta realizzata con l’Ai

    Che sia una vita spericolata e pericolosa quella di pedoni e ciclisti nelle folle strade delle città di questo mondo (salvo pochi esempi da seguire), conferma persino una lettera pubblicata dal Washington Post proprio oggi e che fa riferimento a un’inchiesta del quotidiano Usa sulle troppe morti di pedoni negli Stati Uniti. Su questo blog ne abbiamo accennato in riferimento al progetto di rotatoria al Ponte Coperto. La lettera descrive come camminare per le strade di Washington D.C. sia diventato pericoloso e stressante a causa del comportamento irresponsabile degli automobilisti. L’autore sottolinea il problema dell’eccessiva velocità, della guida aggressiva e del mancato rispetto delle regole stradali, nonostante la presenza di sistemi di controllo e misure di sicurezza. Vi fa suonare qualche campanello? Secondo quanto riportato dalla direttrice del Dipartimento dei Trasporti di D.C., la maggior parte delle morti di pedoni è dovuta a comportamenti antisociali e spericolati difficili da risolvere solo con soluzioni tecniche. Scrive il lettore: “Molti automobilisti passano con il semaforo giallo e rosso. La guida spericolata e aggressiva è completamente fuori controllo. Vivo su Connecticut Avenue, circa un miglio a sud di Chevy Chase Circle. Chiaramente, molti considerano il tragitto casa-lavoro una gara. I grossi veicoli passeggeri sfrecciano su e giù per la strada, e camion e grandi veicoli commerciali aggiungono ulteriore caos. ll distretto dispone di autovelox, semafori agli attraversamenti pedonali e altre misure di sicurezza, ma è la mentalità del guidatore medio che deve cambiare. Il parcheggio in doppia fila è normale e gli indicatori di direzione sono raramente utilizzati”. Sembra di essere in Italia. Purtroppo, sulla sicurezza stradale, c’è ancora troppo da fare. Ecco la lettera completa.

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    Sicurezza informatica, Pavia come al solito sta peggio della media nazionale

    Pavia messa male per la cyber security (foto da Ai)

    I dati della ricerca pubblicata da I-Com mostrano un’Italia a due facce: da un lato in ottima posizione (rispetto alla media europea) sulla creazione delle reti, quindi sul fronte infrastrutturale; dall’altro, molto ma molto indietro sulla digitalizzazione, in particolare delle piccole e medie imprese. Sul terreno delle competenze digitali e della digitalizzazione delle imprese – sintetizza un articolo de La Repubblica – il ritardo diventa macroscopico. Il report calcola che, agli attuali ritmi, l’Italia raggiungerà il target europeo di PMI digitalizzate solo nel 2152 e quello sulle competenze digitali di base nel 2481: una distanza che fotografa con chiarezza la sfida ancora aperta. Oggi solo il 27,2% delle imprese italiane è pienamente digitalizzato (contro una media UE del 34,3%) e appena il 17,9% offre corsi di formazione ICT ai propri dipendenti. Gli specialisti ICT rappresentano il 4% dell’occupazione totale, la metà dell’obiettivo europeo. Nel frattempo, la popolazione procede a passo lentissimo: appena +0,2% nel 2024 per le competenze di base, segno che il Paese non ha ancora trovato la chiave per trasformare l’offerta tecnologica in capacità diffusa”.

    Sicurezza informatica

    Anche sul fronte della protezione dei dati digitali, che a volte sono fondamentali per le aziende, persino per la loro sopravvivenza, l’Italia e la provincia di Pavia hanno i loro problemi. Questo dato emerge leggendo il Rapporto Nazionale PID Cyber Check 2025. Ecco i dati che riguardano la provincia di Pavia:

    • Numero aziende coinvolte: 2.928 imprese italiane hanno partecipato all’indagine, incluse numerose PMI di Pavia e Lombardia.
    • Settori e tecnologie diffuse a Pavia:
      • Maggioranza di PMI, spesso attive in manifattura, servizi, commercio e filiera sanitaria.
      • Alta penetrazione di dispositivi IoT, server aziendali e utilizzo di servizi cloud.
    • Misure di sicurezza e consapevolezza:
      • Solo il ~38% delle aziende pavesi dichiara di avere politiche di sicurezza formalmente definite.
      • Solo il 17% possiede un responsabile ufficiale della sicurezza informatica (molto inferiore alla media nazionale del 25%).
      • Il 52% delle aziende si affida a backup periodici (in linea col dato regionale), ma solo il 32% effettua test periodici dei backup stessi.
    • Gestione password e accessi:
      • Solo una minoranza usa autenticazione a due fattori (18%).
      • Le politiche di gestione password sono spesso deboli: solo il 27% adotta l’obbligo di cambio regolare e complessità minima.
    • Aggiornamento sistemi:
      • Il 44% delle aziende aggiorna software e sistemi “solo quando necessario” invece che sistematicamente, aumento del rischio exploit.
    • Incidenti più frequenti:
      • In Pavia, le tipologie principali di attacco dichiarate sono phishing/social engineeringmalware e violazioni su dispositivi IoT come telecamere e centraline.

    Confronto dati statistici: Pavia vs media nazionale

    IndicatoreProvincia di PaviaMedia nazionale (PMI)
    Aziende con policy formali di sicurezza~38%49%
    Responsabile ufficiale IT Security17%25%
    Backup regolari52%54%
    Test periodici dei backup32%41%
    Autenticazione a due fattori (2FA)18%28%
    Gestione password avanzata27%35%
    Aggiornamento sistematico sistemi56% aggiornano regolarmente67% aggiornano regolarmente
    Incidenti segnalati (ultimi 12 mesi)Phishing, malware, IoTPhishing, malware, ransomware
    • Le aziende di Pavia sono sotto la media nazionale per quasi tutti gli aspetti di sicurezza organizzativa e tecnica: meno policy formali, meno referenti IT, meno procedure per password e per backup avanzato.
    • L’adozione di misure tecniche quali 2FA e la gestione password avanzata è sensibilmente più bassa rispetto al quadro nazionale.
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    Pensioni, ingiustizie e polli di Trilussa

    Pensionati sempre più poveri (foto generata con l’Ai)

    Se vogliamo avere un’ulteriore idea della (ingiusta) distribuzione del reddito, come al solito sono le statistiche e i numeri ad aiutarci, ricordando comunque che spesso molto dipende dalla loro interpretazione. Il governo, presentando la legge di bilancio, ha raccontato che tutto va bene. O almeno, meglio. Indicando alcuni numeri, dimenticandone altri. Ci ricorda Trilussa:

    La Statistica

    Sai ched’è la statistica? È ’na cosa
    che serve pe’ fa’ un conto in generale
    de la gente che nasce, che sta male,
    che more, che va in carcere e che sposa.
    Ma pe’ me la statistica curiosa
    è dove c’entra la percentuale,
    pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
    puro co’ la persona bisognosa.
    Me spiego: da li conti che se fanno
    secondo le statistiche d’adesso
    risurta che te tocca un pollo all’anno:
    e, se nun entra ne le spese tue,
    t’entra ne la statistica lo stesso
    perché c’è un antro che ne magna due.

    Dunque, ci sarebbe da capire il destino dei polli, o almeno, di alcune loro parti. Ma dicevo dei numeri, quelli attuali. Ci aiuta l’Inps, come ricordava nei giorni scorsi un trafiletto comparso sul quotidiano Il Sole 24 ore. Ecco il testo, leggetelo e provate a indovinare le ingiustizie. O almeno, che fine hanno fatto i polli.

    “L’Osservatorio Inps evidenzia che i beneficiari di prestazioni pensionistiche sono 16.305.880 (+0,5% rispetto al 2023), con una media di 1,4 pensioni a testa (il 68% percepisce una sola prestazione, il 32% due o più). L’importo medio annuo dei trattamenti pensionistici è di 15.821 euro, ma il 53,9% delle pensioni ha un importo mensile inferiore ai mille euro e sono 4.581.952 i pensionati (28,1%) con reddito al di sotto di questa soglia. Resta forte il gap di genere, considerando che le donne hanno percepito in media una pensione di 12.772 euro, contro i 19.491 euro degli uomini: i redditi pensionistici femminili sono inferiori di oltre un terzo (-34%), a causa delle carriere lavorative discontinue, e del maggior ricorso al part time (spesso involontario). Tra i diversi gruppi quello più numeroso è dei titolari di pensioni di vecchiaia, pari a 11,4 milioni di persone, di cui il 28% cumula anche trattamenti di altro tipo. Seguono i titolari di pensioni ai superstiti (4,2 milioni). I beneficiari di prestazioni assistenziali sono 3,9 milioni, tra loro il 48% è titolare anche di prestazioni diverse (indennità di accompagnamento).”

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    Tutto il buono del self publishing

    Il buono dell’autopubblicazione (immagine realizzata con l’Ai)

    Internet mi ricorda che senza l’autopubblicazione non avremmo Alla ricerca del tempo perduto di Proust o Gli indifferenti di Moravia. Ma davvero, oggi come oggi, l’autopubblicazione (self publishing) di libri e musica è riservata ai dilettanti allo sbaraglio, a quelli che non trovano una casa editrice o un produttore musicale perché “scarsi”? Per quello che personalmente mi riguarda, i libri che ho pubblicato (quattro, poca roba) hanno avuto un editore “vero”, nel senso che mi ha pagato. Ma per la musica, faccio da solo, autopubblico. In questo caso, perché probabilmente nessuno me la produrrebbe… Quel che conta è divertirsi. Ma, questioni personali a parte, l’autopubblicazione ha una sua ragione d’essere. Mi è venuto in mente di parlarne dopo una lettura di un trafiletto su un giornale. Leggo infatti sul Sole 24 Ore: “Dal crowdfunding fino a un approccio ancora più diretto e indipendente. Un modo per preservare il pieno controllo creativo, i diritti editoriali e i tempi di pubblicazione, arrivando a un pubblico globale e mantenendo la coerenza di scrivere storie ispiratrici per le nuove generazioni. È il percorso di Francesca Cavallo, autrice, imprenditrice, produttrice. Pugliese di nascita, dopo un periodo negli Usa ora è a Roma. Qui a Colle Oppio, in una ex bisca clandestina degli anni 70 sta realizzando il suo headquarter: uno studio per scrivere libri e una sala di incisione per registrare podcast. Dopo il successo mondiale Cavallo ha scelto di pubblicare il suo secondo libro per bambini, “Storie spaziali per maschi del futuro”, con il self publishing. Obiettivo: non aderire alle convenzioni”. Va poi detto che, parere personalissimo, si iniziano a trovare libri e musica interessantissimi autoprodotti e gli strumenti ci sono, eccome. Mentre, nello stesso tempo, buona parte dei libri e della musica prodotti secondo le regole tradizionali sono, rispettivamente, illeggibili e inascoltabili. E spesso, uno uguale all’altro. Quindi, ben venga l’autopubblicazione. D’altro canto, mi spiegava chi del mondo editoriale si occupa di professione, oggi gli autori che attraverso i canali tradizionali vendono più di 5mila copie sono davvero pochi. E Vannacci (scusate il paragone) ha venduto decine di migliaia di copie su Amazon.

    Quello che sappiamo dall’Ai

    Non esistono dati pubblici precisi su quante copie esatte vendano individualmente i libri autopubblicati su Amazon, ma le statistiche annuali mostrano un mercato molto ampio, con oltre un milione di autori che pubblicano tramite Kindle Direct Publishing (KDP) e oltre 500 milioni di dollari di royalties distribuite ogni anno. Origini e prime forme

    Forme di autopubblicazione esistevano già nel Settecento, quando personalità come Madame Pompadour si dotarono di tipografie private per diffondere i propri scritti e influenzare il gusto letterario e politico francese. Nell’Ottocento, con la diffusione della stampa e l’alfabetizzazione di massa, aumentò il numero di autori che pubblicavano a proprie spese. Johann Wolfgang von Goethe fu tra i primi a farlo in Germania, anticipando la nascita dell’autore moderno come figura indipendente.

    Molti grandi scrittori del Novecento cominciarono la propria carriera grazie all’autopubblicazione. Marcel Proust nel 1913 pubblicò a sue spese Dalla parte di Swann, primo volume de Alla ricerca del tempo perduto, dopo essere stato rifiutato da più editori. Jorge Luis Borges nel 1923 stampò autonomamente la raccolta poetica Fervor de Buenos Aires, regalandone copie ai critici letterari di Buenos Aires. Anche Margaret Atwood realizzò e distribuì da sola la sua prima raccolta poetica, Double Persephone (1961), con una tiratura artigianale di 220 copie. In Italia, Italo Svevo e Alberto Moravia si finanziarono da sé le prime opere, come Una vita e Gli indifferenti.

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    Sanità a due velocità, anche a Pavia: un rapporto

    Un pronto soccorso: foto generata con Ai

    Nel 2023 in Italia sono stati registrati oltre 18,5 milioni di accessi ai pronto soccorso, e nel 67% dei casi la visita medica è avvenuta entro i limiti di tempo previsti dal triage infermieristico. È quanto emerge dalla quarta Indagine nazionale sullo stato di attuazione delle reti tempo-dipendenti, realizzata da Agenas e presentata a Roma. La rilevazione mostra tuttavia ampie differenze regionali: la percentuale di accessi entro i tempi di triage varia dal 53% in Sardegna all’86% in Basilicata. In dettaglio, il 94% dei codici bianchi riceve la visita entro 240 minuti, l’80% dei verdi entro 120 minuti, il 61% degli azzurri entro un’ora, mentre solo il 35% dei gialli e il 40% degli arancioni vengono valutati entro i 15 minuti previsti. Oltre il 60% degli accessi complessivi riguarda casi non gravi (codici bianchi e verdi), a fronte di appena 2,3% di codici rossi. Un dato che conferma come il pronto soccorso resti spesso il primo punto di riferimento anche per bisogni di bassa complessità. La relazione Agenas colloca questi numeri all’interno di un monitoraggio più ampio delle reti tempo-dipendenti – emergenza-urgenza, infarto, ictus e trauma maggiore – che nel 2023 hanno registrato miglioramenti nell’organizzazione e nella tempestività d’intervento, ma con forte eterogeneità territoriale. In parallelo, l’indagine analizza la accessibilità territoriale ai presidi d’emergenza: il 76% della popolazione può raggiungere un pronto soccorso in meno di 30 minuti, con punte superiori all’80% in Emilia-Romagna e Veneto, ma sotto il 60% in Sardegna e Calabria.

    La situazione di Pavia

    Si possono fare solo esempi random e qualche confronto regionale o provinciale, perché un giudizio preciso richiederebbe un’analisi più approfondita. Possiamo però dire, per quello che riguarda i “traumi severi”, immaginiamo un incidente stradale, la mortalità a 30 giorni è del 23,97%, molto meglio degli ospedali di Vigevano (49,18%) e Voghera (54,55%), ma peggio, per dire, del Niguarda (14,74%). Differenze enormi, che richiedono una spiegazione esperta prima di esprimere giudizi. Anche per la Rete Ictus, ci sono differenze: il San Matteo di Pavia ha una mortalità (dopo 30 giorni) del 7% mentre per Vigevano e Voghera mancano i dati. San Matteo meglio, ad esempio, del Poma di Mantova (11,6%). Infine, anche per la Rete Cardiologica, la mortalità a 30 giorni del San Matteo è del 7% (prestazione media), mentre Vigevano e Voghera ottengono rispettivamament il 5,79% e l’11,91%.

    Insomma, anche al nord ci sono differenze, e se si ha voglia di consultare il rapporto molto completo (disponibile on line cliccando qui), si scoprirà che il divario non è solo tra regioni o parti d’Italia.

    Come scrive Il Foglio: “C’è un orologio che segna il tempo delle emergenze sanitarie in Ita- lia, e non batte allo stesso ritmo dap- pertutto. A volte corre veloce, salva vite, restituisce persone alle loro fami- glie. Altre volte arranca, perde minuti preziosi, e quelle vite le perde davvero. Il rapporto Agenas sulle Reti tempo-dipendenti che monitorano infarti, ictus e traumi gravi ci racconta proprio questo: un’Italia a due velocità. C’è l’Italia dove se hai un infarto grave hai il 69 per cento di probabilità di essere trattato con un’angioplastica salvavita entro 90 minuti, come in Veneto. E c’è l’Italia dove questa probabilità scende al 41,9 per cento, come in Sardegna. Differenze che decidono se una persona sopravvive o no. Ma è quando parliamo di traumi gravi – gli incidenti stradali, le cadute disastrose – che le differenze diventano ancora più crude. In Calabria quasi una persona su due che subisce un trauma maggiore muore entro 30 giorni. In Toscana, meno di una ogni cinque. Perché? Perché in Toscana è più probabile che tu venga preso in carico immediatamente da un Centro trauma di alta specializzazione, mentre in altre regioni questo non è affatto scontato. Allora viene da chiedersi: com’è possibile? La risposta è che in Italia manca una regia unitaria delle emergenze. Solo 8 regioni su 21 hanno un coordinamento vero delle reti emergency. Nelle altre, ogni ospe- dale o ogni Asl fa un po’ per conto suo. E i risultati si vedono. Servono Stroke Unit che abbiano il numero giusto di posti letto, servono elicotteri del 118 che coprano tutto il territorio, servono protocolli chiari che facciano arrivare la persona giusta nel posto giusto al momento giusto. In molte zone questo già avviene, e i risultati sono eccellenti. In altre, no. Il problema non è solo di soldi ma soprattutto di organizzazione. Di volontà politica. Di saper prendere a modello ciò che già che funziona.

    Quando si parla di emergenze, ogni minuto conta. E il rapporto Agenas ci dice che in Italia il valore di un minuto dipende ancora troppo da dove ci si trova.”

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    L’intervista che non fa male a nessuno

    La storia completa la potete leggere più avanti, in una sintesi del comunicato dell’Fnsi, la Federazione nazionale stampa italiana. Ma in poche parole: il governo presenta la bozza di legge di bilancio, sono presenti i (bravissimi, lo sappiamo tutti) giornalisti del Sole 24 Ore, ma l’intervista alla premier sui conti italiani la fanno fare a Maria Latella, collaboratrice esterna, non proprio specializzata in economia. Lo decide il direttore, non vogliamo credere su pressione della Meloni, immaginiamo per essere più realista del re. Insomma, un modo per non mettere davanti alla premier un giornalista che di conti e di leggi di bilancio magari ne sa persino più di lei. Morale, i giornalisti (giustamente) scioperano, ma il direttore fa uscire il quotidiano lo stesso. I giornalisti ri-scioperano. D’altro canto per libertà di stampa l’Italia è ventesima su 27 in Unione europea, ultimi tra gli Stati fondatori: la classifica 2025 di Reporter senza frontiere certifica appunto un ulteriore arretramento della libertà di stampa in Italia, che si attesta al 49esimo posto a livello globale perdendo tre posizioni rispetto all’anno scorso e otto rispetto a quello precedente. Credetemi, tenetevi ben stretti la Provincia Pavese. A seguire, la nota della Fnsi.

    La segretaria generale Alessandra Costante: «Penso che neppure la presidente del Consiglio avrebbe voluto vedere la sua intervista uscire in un’edizione del quotidiano che fa carta straccia di tutti i fondamentali dell’informazione libera e democratica». Il Cdr: «Dalla direzione grave azione anti-sindacale». A sostegno dei colleghi anche l’Usigrai e i Comitati di redazione de La Sicilia, Repubblica, Domani e Secolo XIX. Il presidente della Federazione della Stampa, Vittorio di Trapani: «Da direttore ed editore atteggiamento che richiama i padroni anni ’50, quelli pre-Statuto dei lavoratori». La solidarietà di Assostampa Sarda, Sigim, Sindacato giornalisti Veneto, Associazione Ligure dei giornalisti, Asva, Assostampa Basilicata e Asu.

    Oggi, sabato 18 ottobre 2025, il Sole 24 ore è in edicola con sole 20 pagine, quasi tutte “fredde” e con un’intervista alla premier Giorgia Meloni fatta da una giornalista esterna. Un giornale realizzato senza la redazione, che ieri ha proclamato all’unanimità uno sciopero proprio perché l’intervista a Meloni è stata decisa improvvisamente dalla direzione, a scapito di colleghi interni che erano andati alla conferenza stampa di Palazzo Chigi sulla manovra. Il Cdr e la redazione hanno stigmatizzato la deriva che vede gli intervistati scegliersi gli intervistatori.

    La Federazione nazionale della Stampa, l’Associazione Lombarda dei giornalisti e l’Associazione Stampa Romana sono a fianco dei colleghi del Sole 24 Ore e ribadiscono che fare uscire il quotidiano malgrado lo sciopero compatto della redazione è un atto grave e inaccettabile. Oggi, la battaglia dei giornalisti del Sole 24 Ore è una battaglia di tutti in difesa del giornalismo. Editori e direttori non possono usare i giornalisti a loro piacimento, scavalcandoli quando il diktat è utilizzare un intervistatore gradito.

    «L’edizione del Sole 24 ore in edicola oggi nonostante lo sciopero proclamato dalla redazione – commenta Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi – scrive una pagina nera nella storia di uno dei quotidiani più importanti del Paese. Non solo: infanga e sminuisce l’altissima professionalità dei colleghi che ci lavorano. Lo sciopero indetto dal Cdr è a difesa della dignità del giornalismo professionale, della qualità dell’informazione e della sua indipendenza. Penso – conclude Costante – che neppure la presidente del Consiglio avrebbe voluto vedere la sua intervista uscire in un’edizione del Sole che fa carta straccia di tutti i fondamentali dell’informazione libera e democratica».

    Sulla questione interviene anche il Cdr del Sole 24 Ore con una nota pubblicata in apertura del sito del giornale, in cui si ricorda che oggi il sito web non sarà aggiornato e per le 16 è convocata una nuova assemblea dei giornalisti: «Le giornaliste e i giornalisti del Sole 24 Ore sono in sciopero e denunciano la grave azione anti-sindacale compiuta dalla direzione che ha comunque fatto uscire in edicola il quotidiano, seppure in forma ridotta, in opposizione a quanto deliberato all’unanimità dall’assemblea».

    Il Cdr prosegue: «L’agitazione interviene a tutela delle professionalità della redazione. Venerdì 17 ottobre, giorno di approvazione della legge di bilancio in Consiglio dei ministri, infatti, è improvvisamente comparsa sulle pagine del giornale un’intervista alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni scritta da una collaboratrice esterna. Vicenda che si era già verificata in passato e che avevamo stigmatizzato con uno sciopero delle firme. Episodi analoghi, in altri campi, accadono anche con altri interlocutori. In questo modo – conclude la nota – si approda a una deriva distopica nella quale gli intervistati si scelgono gli intervistatori con il beneplacito del direttore».