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    Posteggi, tasse, farmaci, acquisti on line, negozi da salvare e portafogli da curare (il nostro)

    Acquisti on line, polemiche e rispamio

    Si sono sovrapposte, in questi giorni, alcune questioni che riguardano il commercio, la sopravvivenza dei negozi “fisici”, le tasse, il problema del parcheggio in centro storico per favorire gli acquisti, le contestazioni dei commercianti contro il Comune… Troppa trama, avrebbe detto un mio amico. Ho espresso la mia opinione, contestabile s’intende, che il problema sta proprio nel commercio stesso che non accetta i cambiamenti e non si adegua. Ben altre sono le soluzioni, ricordava anche Simone Spetia questa mattina sulla rassegna stampa di Radio24.

    Fornisco due storielle che possono dare un’idea del perché, da tempo, il commercio “fisico” mi attrae sempre di meno (e del perché il raro buon commercio “fisico” mi attrae sempre di più”). Prima storiella, di qualche anno fa. Sono in viaggio, Belgio, e un pomeriggio mi accorgo di non aver portato con me un medicinale che dovevo tassativamente prendere. Entro in una farmacia, chiedo la cortesia (farmaco che ovunque richiede la prescrizione) di vendermelo mostrando una prescrizione italiana. Non essendo certo che avessero lo stesso prodotto, ero andato a cercare il medicinale in rete. Il prezzo, mi pare, era di 20 euro. La farmacia me lo vende, ovviamente senza servizio sanitario, a 11 euro. Torno a Pavia, e per curiosità chiedo in farmacia quanto costerebbe quel farmaco senza prescrizione. Mi rispondono: 19 euro. A questo punto, mi viene un sospetto, e quando devo acquistare un certo altro medicinale (che maledizione invecchiare!) che non viene rimborsato dal servizio sanitario, controllo ancora in farmacia: 23 euro. Guardo on line, sul sito di una farmacia (fisica e on line) della Puglia: 13 euro. Compro on line, ovviamente. Ora, per ogni medicinale non coperto dal servizio sanitario, mi servo on line. RIsparmio, di solito, il 20/30 per cento. Ho una domanda: perché la farmacia pugliese lo vende, regolarmente (con tanto di scontrino fiscale e codice fiscale per eventuali detrazioni) a un prezzo così inferiore?

    Secondo episodio, l’altro ieri. Esce, da Apogeo, il libro “Scatta come Wes: Impara come realizzare immagini in perfetto stile Wes Anderson”. Curioso, amo questo regista, voglio leggerlo, Vado in centro, a Pavia, e il libro non c’è. Negli scaffali dedicati alla fotografia nelle librerie in cui sono andato, due sole lo ammetto, ci sono alcuni libri, molti vecchi, le cose più interessanti e recenti no. Non lo ordino, altrimenti devo tornare in centro (e se avessi utilizzato il bus o pagato il parcheggio, mi sarebbe costato il 15% in più quel libro). Vado sul sito di Apogeo per acquistarlo on line e, con lo sconto, costa 22 euro. Ma non c’è la versione digitale, che avrei preferito. Mi viene un sospetto e vado in rete per vedere se esiste la versione originale. C’è, in inglese quindi, solo 13 euro. Con un click l’acquisto. Posso anche capire che una libreria non può tenere tutto, ma è un libro che ha avuto buone recensioni. E Apogeo poteva anche fare la versione digitale.

    Dicevo del buon commercio “fisico”. Mai comprerei una chitarra on line, anche scontata, finché esiste il negozio Guitar di Tortona, dove competenza, prezzi (giusti), gentilezza, disponibilità e non mi vengono in mente altri aggettivi, resteranno sempre gli stessi. Mai acquisterò farine e altri prodotti finché ci saranno negozio come Mulino Ferrari a Pavia. Per fare due esempi, ma ce ne sono altri, di qualità, competenza, gentilezza.

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    L’Europa di chi non fa vino che spiega a chi fa vino come deve farlo (e imbottigliarlo)

    Credevo che non l’avrei mai detto: ha ragione Tremonti. L’ex ministro ironizzava sul fatto che l’Europa, mentre non riusciva a risolvere i problemi dell’auto – in particolare il passaggio all’elettrico previsto per il 2035 – riusciva persino a dettare le regole sulla fabbricazione dei tricicli. Ora, io sono un europeista straconvinto, ma delle volte… E’ il caso che riguarda direttamente l’Oltrepo pavese con i suoi produttori di vino. La Ue, accogliendo le richieste di Paesi che, con tutta la simpatia per loro, non sanno neppure cosa sia il vino, obbligherebbe all’uso di bottiglie non troppo trasparenti, per facilitare il loro riutilizzo. Alla faccia della conservazione di vino e spumanti. Leggo su Il Sole 24 Ore:

    Con le norme in discussione in Europa nell’ambito del nuovo regolamento imballaggi (PPWr), a rischio le bottiglie di prosecco italiane: la preoccupazione arriva da Coreve, il consorzio italiano del riciclo del vetro. «Il PPWr prevede che entro il 2030 un imballaggio, una bottiglia, costituito per più del 30% in peso da materiale non riciclabile non possa più essere messo in commercio», spiega il presidente Gianni Scotti. «A Bruxelles si sta lavorando per definire le linee guida di questa riciclabilità – continua -. Ora, le posizioni tedesca e danese stanno sostenendo che il vetro con una trasmittanza (cioè la capacità di lasciarsi attraversare dalla luce, ndr) inferiore al 10% non possa essere classificato come riciclabile. Se anche solo il 30% di materiale di una bottiglia avesse quindi una bassa capacità di far passare la luce, cioè la renderebbe non idonea. Vuol dire che il vetro troppo scuro e spesso, proprio quello che caratterizza alcune parti delle nostre bottiglie di prosecco, ma anche di champagne e di vino, potrebbe essere classificato come non riciclabile e quindi metterle fuori mercato. Ricordiamo che si tratta di bottiglie sviluppate con queste caratteristiche per filtrare efficacemente la luce dannosa per il contenuto e per resistere alla pressione interna, soprattutto dei prodotti con le bollicine».

    Per altro, anche la norma europea prevista per il “vuoto a rendere”, rischia di creare non pochi problemi con:

    Rischio di Standardizzazione e Perdita di Identità: La bottiglia di vetro non è solo un contenitore per il vino italiano, ma un elemento di design, marketing e identità legato al marchio, alla denominazione e al territorio. L’obbligo di riutilizzo implicherebbe la necessità di adottare bottiglie standardizzate (un pool comune) per rendere efficienti i processi di raccolta, lavaggio e reimmissione sul mercato. Questo avrebbe cancellato la diversità di forme, pesi e colori che contraddistinguono i vini italiani di alta gamma (es. bottiglie speciali per Barolo, Brunello, Prosecco DOCG, o i formati come le Magnum).

    Complessità Logistica ed Economica: L’Italia eccelle nel riciclo del vetro (tassi superiori all’80%), che avviene a livello locale. Un sistema di riutilizzo implicherebbe la creazione di una nuova e complessa filiera di logistica inversa (raccolta, trasporto per lunghe distanze, lavaggio, sanificazione), con costi operativi insostenibili per le aziende, soprattutto per quelle che esportano e per le piccole e medie imprese.

    Sicurezza Igienico-Sanitaria: Ci sono preoccupazioni sulla capacità di garantire standard igienici perfetti per i prodotti alimentari, come il vino, attraverso cicli ripetuti di lavaggio e riempimento, con il rischio di compromettere la qualità del prodotto finale.

    Europeisti sì, ma non suicidi.

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    Raccolta differenziata, i nuovi dati Ispra premiano soltanto i piccoli Comuni della provincia

    Molti i Comuni bocciati

    Ma sono cittadini migliori? O sono migliori i loro sindaci e amministratori? Oppure è un insieme di questi due fattori che fa sì che alcuni Comuni siano più attenti alla gestione dei rifiuti e alla raccolta differenziata? Un’idea, conoscendo i sindaci, alcuni di persona, me la sono fatta: molto merito è dei sindaci e delle loro amministrazioni. Perché la raccolta differenziata è un piccolo problema organizzativo per chi, magari, ha una vita già complicata. E se segue le regole, è perché gli amministratori locali gli rendono semplice la procedura, perché riescono a coinvolgerli e, con il tempo, a farli diventare cittadini migliori.

    Tutto questo per dire che l’Ispra, ossia l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha pubblicato il rapporto 2025 proprio ieri. E dai dati del 2024, la provincia di Pavia, nel suo complesso – come si vede in questa tabella – è la seconda peggiore della Lombardia con una percentuale che non arriva al 60%. Soltanto Sondrio ci batte per scarsa attenzione ambientale.

    I buoni esempi, i cattivi esempi

    Ma in questa situazione che non ci rende orgogliosi, ci sono quattro buoni esempi: sono i quattro migliori Comuni della provincia: Travacò Siccomario (87,52% di raccolta differenziata), Torre d’Isola (86,57%), Codevilla (82,70%) e Pizzale (82,15%). Conosco personalmente due sindaci, intuisco che il merito di questo risultato sia in gran parte loro. E poi ci sono i quattro Comuni peggiori: Torricella, Montescano, Borgo Priolo e Menconico. Qui la percentuale di differenziata arriva appena sopra al 20%. Pavia capoluogo è 69esima, con il 60%, Vigevano 85esima con il 62% e infine Voghera è 98esima, con il 57%.

    Qui la tabella con tutti i dati della provincia di Pavia con la classifica completa

    La situazione nazionale

    Sul fronte della raccolta differenziata il Mezzogiorno continua a ridurre il divario con Centro e Nord. In aumento il dato nazionale, che attesta la raccolta differenziata al 67,7%, con percentuali del 74,2% al Nord, del 63,2% al Centro e del 60,2% al Sud. Le percentuali più alte si registrano in Emilia-Romagna (78,9%) e in Veneto (78,2%). Seguono Sardegna (76,6%), Trentino-Alto Adige (75,8%), Lombardia (74,3%) e Friuli-Venezia Giulia (72,7%). Tra queste regioni, l’Emilia-Romagna è quella che fa registrare la maggiore progressione della percentuale di raccolta, con un incremento pari a 1,7 punti rispetto ai valori del 2023. Superano l’obiettivo del 65% anche Marche (71,8%), Valle d’Aosta (71,7%), Umbria (69,6%), Piemonte (68,9%), Toscana (68,1%), Basilicata (66,3%) e Abruzzo (65,7%).
    Nel complesso, più del 72% dei comuni ha conseguito una percentuale di raccolta differenziata superiore al 65%. Nell’ultimo anno, l’89,7% dei comuni intercetta oltre la metà dei propri rifiuti urbani in modo differenziato.

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    I soldi del Pnrr che non spende Pavia e il caso delle scuole che non li vogliono proprio

    I soldi del Pnrr che non servono a nessuno

    Siamo ormai alla fine dell’anno (insomma, manca poco) e val la pena fare qualche verifica sull’efficienza della provincia di Pavia nella gestione dei fondi pubblici. In particolare, i fondi del Pnrr. Utilizzando gli open data di Openpolis, emergono alcuni dati interessanti. Rispetto a un 36% dei pagamenti dei progetti Pnrr a livello nazionale cofinanziati dal Pnrr (ma il 44% dei finanziamenti Pnrr), una percentuale che ci serve a capire a che punto siano i lavori finanziati, in provincia di Pavia sono stati pagati solo il 15% dei progetti su 15 miliardi di risorse complessive su 3.391 progetti complessivi.

    Vediamo, su tutta la marea dei dati disponibili, alcune curiosità. Ad esempio, come stanno gli 8 progetti più importanti per importo. Come si vede l’intervento sul delta del Po è fermo al 9 per cento, quello della Galbani sul cambiamento del processo produttivo appare non aver mai completato alcunché, a zero anche il progetto di formazione medica specialistica e la creazione di un consorzio per la creazione di una struttura di ricerca radiofarmaceutica, e la realizzazione di percorsi formativi all’Its di Belgioioso. Gli altri tre progetti non superano il 50% dei pagamenti.

    I primi 8 progetti per valore

    Sul database si può curiosare incrociando i dati. Un solo esempio, per il Comune di Pavia. Si possono verificare i progetti a quota zero delle percentuali di pagamento. Eccone alcuni: la ristrutturazione della residenza Camillo Chiri di via Cardano, i percorsi formativi al liceo Olivelli, i due ecotomografi per il San Matteo, una lunga serie di progetti dell’Università di Pavia per formazione, corsi e così via, una incredibile marea di soldi (centinaia di migliaia di euro) per i percorsi formativi nelle scuole superiori di Pavia che nessuno sta spendendo (ma servivano risorse per le scuole, si lamentava), il recupero del collegio Don Bosco (accipicchia, ci sono quasi 6 milioni di euro da spendere), ci sono poi milioni e milioni di euro per l’efficientamento energetico di edifici che nessuno sta spendendo. Ma andate sul sito di Openpolis, e controllate quante e quante risorse per la scuola ci sono per la provincia di Pavia e per Pavia in particolare che nessuno spende. Se avanza qualcosa, tranquilli, posso spenderli io.

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    La nuova piattaforma ecologica (non chiamatela discarica) in piazza della Vittoria

    La nuova piattaforma ecologica gemella di quella di Montebellino, anch’essa gestita da Asm, in piazza della Vittoria, a Pavia. Si tratta di decidere se sotto al Broletto o dall’altro lato, a far compagnia a Tiger. E’ poi così paradossale? Perché tutto ciò che nessuno vuole accanto a sè, secondo l’affermato not in my back yard (non nel mio cortile, per chi non mastica l’inglese), deve finire in periferia? Le logistiche, che creano traffico, inquinamento, lavoro povero e sfruttamento nelle cooperative; i campi nomadi; e le discariche o le isole ecologiche va tutte lì. Vorrebbero anche spostarci bar e locali notturni, per non infastidire troppo i residenti. Nelle nostre periferie, che pure sono gran parte della vita cittadina, spariscono negozi e servizi, avere una fermata in più dell’autobus è impresa titanica, non si vede un agente di polizia locale che sia uno, e il posteggio selvaggio nessuno lo sanziona.

    E allora, il peso della periferia se lo carichi sulle spalle, per una volta, il centro storico, e facciamo ‘sta isola ecologica, ‘sta piattaforma o discarica che sia, tra un bar e i suoi tavolini, tra un elegante negozio e una pizzeria. Diversamente, per una volta, ragioniamo con la città, l’invito è a chi governa, proviamo a immaginarla diversa. E allora lo sappiamo che servono piattaforme ecologiche per smaltire meglio, che ad accogliere i nomadi non può essere piazza Petrarca e che se possiamo fare a meno del lavoro povero delle logistiche staremmo tutti meglio. Discutiamone, senza pregiudizi.

    Oggi la Provincia Pavese, che come sempre ricordo di leggere ogni giorno, riporta molto bene queste vicende. Ricordo solo che, doveva essere il 2000, l’allora sindaco Andrea Albergati, uno dei sindaci migliori che Pavia abbia avuto, incontrò i residenti per l’ipotesi del campo nomadi nella zona di Pavia Ovest. Quasi lo aggredirono fisicamente, seguii la vicenda da cronista. E’ sempre stato così: not in my back yard, e siamo tutti contenti.

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    Tutti quei soldi per il dissesto idrogeologico in Oltrepo (ma non solo). C’è una strategia?

    L’alluvione in Indonesia (dal Guardian)

    Negli ultimi cinque o dieci anni credo, da giornalista caposervizio, di aver titolato e pubblicato qualche centinaio (forse di più) articoli che raccontavano come Comuni, Provincia e Regione avessero stanziato soldi, soldi e ancora soldi destinati al nostro Oltrepo per quello che conosciamo tutti come “dissesto idrogeologico”. Ora, non voglio neppure ipotizzare che siano soldi sprecati, ma la sensazione, in questi anni e contando un disastro dopo l’altro, è che sia mancata a livello nazionale, ma forse non solo, una strategia che si possa definire tale. Insomma, si vive – un classico italiano – di interventi a tampone (a tanti begli appalti). Come i bonus: qualcosa risolvono, ma poi si è da capo. Mi è venuto in mente guardando le due fotografie pubblicate dal Guardian e dal Washington Post sull’alluvione che in questi giorni ha colpito Indonesia, Thailandia e Sri Lanka, fotografie che ho accostato a un bell’articolo de Il Foglio del lunedì a firma di Giulio Boccaletti, scienziato e scrittore italo-britannico che è stato ricercatore associato onorario presso la Smith School of Enterprise and the Environment.

    L’articolo descrive come eventi recenti di piogge torrenziali, frane ed esondazioni mostrino che il rischio idrogeologico in Italia è ormai sistemico e non gestibile solo con interventi locali e d’emergenza dopo ogni disastro. L’autore osserva che, nel breve intervallo tra una catastrofe e l’altra, si scatena la caccia al colpevole, ma questo riflesso mediatico e politico impedisce di vedere le cause strutturali legate a come è stato occupato, costruito e trasformato il territorio negli ultimi decenni.​

    Si sostiene che la frequenza crescente degli eventi estremi rende inevitabile ripensare la gestione del suolo, delle aree agricole e dei versanti, puntando su manutenzione ordinaria, rinaturalizzazione, difesa delle aree di esondazione naturale dei fiumi e riduzione del consumo di suolo. Viene criticata l’idea che bastino grandi opere isolate o misure solo tecniche: senza una strategia complessiva di pianificazione del paesaggio, ogni intervento rischia di essere inefficace o addirittura controproducente.​

    L’articolo richiama anche il tema delle risorse pubbliche, ricordando che gli investimenti, inclusi quelli legati ai vincoli europei e al PNRR, dovrebbero essere orientati da una visione di lungo periodo, e non dall’urgenza del singolo disastro o dalla pressione dell’opinione pubblica. In questo quadro, alla politica viene chiesto uno sforzo di programmazione: definire priorità territoriali, integrare ambiente, agricoltura, urbanistica e protezione civile, fissare obiettivi misurabili di riduzione del rischio e assumersi responsabilità su orizzonti temporali che vadano oltre la singola legislatura.

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    Pavia e la qualità della vita: siamo la provincia peggiore della Lombardia

    Non ve la sto a fare troppo lunga. Pavia ancora bocciata da una classifica. Stavolta dalla classifica sulla qualità della vita 2025 che stamane pubblica il quotidiano Il Sole 24 Ore che vi suggerisco di acquistare anche se non siete dei maniaci delle questioni finanziarie o economiche. Pavia, dunque, si piazza 56esima per qualità della vita perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno. Nessuna sorpresa se in testa troviamo Trento, Bolzano e Udine. Lì, nel nordest, si vive meglio. Anche se ci trascorri soltanto una settimana di vacanza te ne rendi conto. Meglio di Pavia, in Lombardia, ci stanno Bergamo, Milano, Cremona, Lecco, Monza Brianza, Sondrio, Como, Brescia, Mantova, Varese e Lodi. Cioè, siamo ultimi. Tutti i dettagli, appunto, su Il Sole 24 Ore.

    Amen.

    Ps. All’amico di Facebook che dice che sembro goderci a parlare male di Pavia, ricordo che i numeri sono numeri. Poi ognuno ci fa le valutazioni che vuole. A Pavia voglio bene, ma accidenti, diamoci una mossa.

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    Voglio andare a vivere negli States (ma mi servirebbero 110 milioni di dollari)

    L’annuncio sul Los Angeles Times

    E poi dicono che c’è la crisi negli States. Una delle cose più divertenti che trovo nella lettura del Los Angeles Times sono gli annunci immobiliari. Nel numero della domenica non c’è una casa sotto il milione di dollari, si può capire. Sarei però curioso di sapere chi di dollari ne ha almeno 110 per acquistare questa simpatica casuccia con cinque stanze da letto e undici bagni. Non voglio pensare quanto viene a costare in saponette. Certo, è un gran bel posticino. Guardo il conto e vedo cosa posso fare.

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    Se vivi negli States non devi nascere tacchino (ma anche: tacchino, ma quanto mi costi?)

    Ogni mondo è paese e ogni quotidiano, per quanto importante sia, non riesce a negarsi un articolo trito e ritrito. Che per quello che mi riguarda, stavolta mi incuriosisce. Infatti, su Usa Today mi sono imbattuto sul classico paginone dedicato alla Festa del Ringraziamento (il 27 novembre). Sotto che profilo? Un classico di sempre: quanto ci costerà l’inevitabile cena con famiglia e amici più cari? O meglio, quanto ci costerà cucinare il tacchino secondo le regole Usa?

    I giornalisti hanno visitato negozi in tutto il paese per calcolare il costo degli ingredienti essenziali: tacchino surgelato (16 libbre), salsa di mirtilli (1 lattina), latte intero (1 pinta), burro non salato (1 libbra), preparato per torta di zucca (1 lattinaL’American Farm Bureau Federation ha condotto il suo 39° sondaggio annuale sui costi del Ringraziamento, rilevando una diminuzione del 5% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, i prezzi sono saliti del 19% dal 2021.​

    Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics, i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 29% dal 2019, anche se sono rimasti sostanzialmente stabili nell’ultimo anno.​

    L’articolo cita diverse cause delle fluttuazioni: l’influenza aviaria che ha colpito milioni di galline e tacchini, riducendo l’offerta; le politiche agricole dell’amministrazione Trump che hanno riconosciuto la carenza di manodopera; e periodi di siccità negli stati produttori di mirtilli come Massachusetts, Wisconsin e Oregon), uova (1 dozzina), carote (1/2 libbra), sedano (1/2 libbra) e patate arrosto (1 libbra).​

    Le tre ricevute (regolarmente pubblicate) mostrano:

    • Venture Food Stores (Colchester, Kansas): $48,88
    • Giant (Washington, D.C.): $57,19
    • Publix (Royal Palm Beach, Florida): $28,87

      Insomma, si può cenare e non spendere neppure troppo, a condizione di non acquistare altre non se non il tacchino con tanto di contorno.

      La ricetta tradizionale per cucinare il tacchino nel Giorno del Ringraziamento

    • La ricetta tradizionale del tacchino del Ringraziamento americano prevede una preparazione relativamente semplice che enfatizza la succulenza e il sapore attraverso un burro aromatico alle erbe.
    • Ingredienti Base
    • Per un tacchino da 12-16 libbre (circa 5,5-7,5 kg):
    • Tacchino intero
    • 1 tazza di burro non salato ammorbidito
    • Aglio tritato (6-8 spicchi)
    • Erbe fresche: rosmarino, timo e salvia
    • Sale e pepe nero
    • 1 cipolla, 1 limone e 1 mela tagliati a spicchi
    • Verdure per la teglia: carote, sedano, cipolle
    • Preparazione Tradizionale
    • Marinatura (facoltativa): Molte ricette tradizionali prevedono una salamoia il giorno prima con sale kosher, zucchero di canna, brodo vegetale e spezie come pepe nero, bacche di pimento e chiodi di garofano.
    • Burro aromatico: Si prepara mescolando burro morbido con aglio tritato, erbe fresche tritate (rosmarino, timo, salvia), sale e pepe. Alcuni aggiungono scorza d’arancia grattugiata per un tocco agrumato.
    • Farcire la cavità: Si riempie l’interno del tacchino con cipolla, limone, mela e rametti di erbe fresche. Questo conferisce sapore dall’interno.
    • Preparare la pelle: Con le dita si solleva delicatamente la pelle del petto e si spalma il burro aromatico direttamente sulla carne. Il resto del burro viene spalmato su tutta la superficie esterna.
    • Cottura
    • Si preriscalda il forno a 325°F (circa 165°C). Il tempo di cottura è di circa 13-15 minuti per libbra, fino a raggiungere una temperatura interna di 165°F (74°C) nella parte più spessa della coscia.
    • Alcuni cuochi iniziano con una temperatura più alta (425°F per la prima ora con il tacchino capovolto, poi 325°F girato con il petto verso l’alto) per ottenere una doratura perfetta. Durante la cottura si spennella periodicamente con i succhi della teglia ogni 30 minuti.
    • Una volta cotto, il tacchino deve riposare coperto con carta stagnola per almeno 20 minuti prima di essere tagliato.