Architettura
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Non volevo copiare Fontana
Ogni volta che scatto una fotografia del genere, mi sento in colpa. Come se avessi copiato durante un compito in classe. Ma non c’è niente da fare: la lezione di Franco Fontana è una di quelle che non dimentichi, che ti ritrovi sempre davanti quando affronti un paesaggio. E così, anche questa volta, guardando il mare dalla costa di Ortona, in Abruzzo, con a fianco il castello aragonese, nel momento in cui scatti ti senti (in piccolo, molto in piccolo) come Franco Fontana, E nella testa, ancor prima di fare clic, hai in mente questa immagine. Ho cercato, poi, di darle un taglio tutto verticale perché così mi piaceva.
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Quel che resta nel buio /2
Alla seconda chiesa ho iniziato a sospettare che i piacentini amino risparmiare sulla corrente elettrica. Dopo Castell’Arquato, anche Vigoleno ci offre una bella pieve poco illuminata. Anzi, per nulla. Al suo interno, non so per quale ragione, è come se stessero per fare un trasloco. Alcune statue in legno sono state spostate verso l’atrio e vengono illuminate dalla luce del portone lasciato appunto aperto per dare un po’ di illuminazione all’interno. Così fotografo le statue lateralmente, come fossero delle persone, sfruttando il contrasto che si crea. Insomma, ho ritratto delle “persone”, non un edificio.
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Quel che resta nel buio
Domenica in giro per i colli piacentini. Entriamo in una pieve, a Castell’Arquato, completamente al buio. In un angolo c’è un meccanismo nel quale, inserendo un euro, le luci si accendono per alcuni minuti così da poter visitare la chiesa. Ma la fessura nella quale mettere la moneta è bloccata. Insomma, siamo praticamente al buio. Stiamo per andarcene, quando noto una singola luce che colpisce l’unica sedia fuori posto, staccata dalle altre, forse reduce da una messa con distanziamento. E penso che quando si fotografa bisogna sfruttare quel che c’è, perché non siamo in uno studio, il mondo ci si offre per quel che esiste, non per quello che vorremmo che fosse. E scatto questa fotografia.
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Indigestione di colore (Burano)
Per uno come me, che ama fotografare costruendo e pensando in bianco e nero, Burano è un risveglio brutale nel mondo del colore a tutti i costi. Oddio, non che non si possa fotografare in bianco e nero anche lì, ma il colore ti chiama prepotentemente. Così, ho scelto quattro fotografie che provano a raccontare appunto la tavolozza cromatica di quel paese immerso nella laguna veneta.
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Il fascino del vuoto
Credo il fascino della piazza d’armi di Palmanova stia non tanto in ciò che contiene, quasi nulla, né in ciò che la circonda (palazzi non eccelsi, per quanto interessanti). Il fascino sta nell’assenza, nello spazio vuoto che è circondato da quei palazzi e che si attraversa a piedi, in estate sotto il sole cocente, con una luce che brucia gli occhi. E ancora, il fascino sta nell’immaginare quella piazza vista dall’alto, nella sua perfezione. Così, quando la fotografi, il senso che cerchi di dare, che ho cercato dare, era proprio non tanto il fascino, quanto l’angoscia dello spazio vuoto.
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Stregato dalla luce
Difficilmente scatto fotografie, e poi a colori, degli interni di chiese, cattedrali, basiliche. Un po’ perché le fotografano tutti e non vedo cosa mai potrei aggiungere di nuovo; un po’ perché si può anche fare, ma ci vuole tecnica (e un cavalletto) e molta pazienza. Eppure, all’arrivo a Gorizia, capita di entrare nella prima chiesa che incontriamo – perdonatemi, non ne ricordo il nome – per dare un’occhiata, che un bell’affresco o una scultura degni di essere osservati si trovano quasi sempre. La chiesa dedicata a non so quale santo, è poco illuminata, ma a quell’ora, per una fortunata combinazione, la luce mi sembra proprio quella giusta. Sta a vedere, mi dico, che non sarà proprio la solita foto. Rivedendola ora, un suo fascino ce l’ha. E la condivido.
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I soliti punti di vista
Di fotografabile, nella meravigliosa piazza della Libertà di Udine, con tutto il fascino del suo stile veneziano, c’è moltissimo. Quando però arriviamo lì, la sfortuna vuole che sia stato aperto un grande cantiere, che uno dei palazzi più belli sia coperto dalle impalcature e che stiano montando un palco per un concerto. Insomma, il fascino resta, ma per chi vuole fotografare, appunto, le prospettive cambiano. E non è un modo di dire. Perché alla fine la fotografia che mi è piaciuta di più, è spero piaccia, è quella di questo bambino che va in bicicletta sotto al porticato del palazzo municipale. Fotografato, come era ovvio, da un’altra prospettiva, mentre scendevo le scale.
Palazzo municipale, Udine -
La villa Moretti (quelli della birra)
Nel viaggiare in provincia di Udine, questa estate ci siamo imbattuti in questo splendido e affascinante edificio, villa Moretti, a Tarcento. Un nome importante, quello della famiglia di “birrai”, e un luogo che nei suoi oltre cent’anni di vita ha ospitato personaggi del mondo del cinema. La villa la fece costruire Luigi Moretti, figlio dell’omonimo fondatore della fabbrica di birra e l’architetto Berlam si ispirò al Liberty bavarese e in particolare al castello di Miramare. Alla dimora di Massimiliano d’Asburgo somigliava molto nei primi anni, poi verso il 1910 sopra le torrette, per rimediare alle infiltrazioni d’acqua è stata posta la copertura che gli ha dato l’aspetto attuale. Impossibile non fotografarla. Impossibile, senza potervi entrare, fotografarla in modo originale. Ma tant’è…
Villa Moretti a Tarcento (Udine)