- Arte, fotografia, Fuji X Series, Luce, Maschere di luminanza, Photoshop, Post produzione, Tecnica fotografica, Viaggiare
Val d’Orcia, luce in chiesa
Durante la vacanza in Val d’Orcia capita anche spesso di visitare una chiesa. Alcune belle, alcune meno belle, altre persino insignificanti. Fotograficamente, dipende. In questa era una questione di luce che poi, evidentemente, ho esaltato in post produzione, sempre con l’obiettivo di divertirmi anche dopo aver viaggiato e fotografato. I puristi mi perdonino.
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Ognuno ha i suoi gusti
Ci sono fotografie che piacciono solo a chi le ha scattate. Sono un po’ come il jazz, direbbe qualcuno: senza citare una frase volgare, diciamo che piace solo a chi lo suona. A chi fotografa, succede a me e succederà a molti, all’improvviso può comparire davanti agli occhi un’immagine o una situazione che ci racconta qualcosa o, come in questo caso, per linee e prospettive, ci affascina. Magari senza ragione. Questa fotografia l’ho scattata a Trani, all’ingresso della cattedrale di San Nicola Pellegrino.
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Quel che resta nel buio /2
Alla seconda chiesa ho iniziato a sospettare che i piacentini amino risparmiare sulla corrente elettrica. Dopo Castell’Arquato, anche Vigoleno ci offre una bella pieve poco illuminata. Anzi, per nulla. Al suo interno, non so per quale ragione, è come se stessero per fare un trasloco. Alcune statue in legno sono state spostate verso l’atrio e vengono illuminate dalla luce del portone lasciato appunto aperto per dare un po’ di illuminazione all’interno. Così fotografo le statue lateralmente, come fossero delle persone, sfruttando il contrasto che si crea. Insomma, ho ritratto delle “persone”, non un edificio.
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Quel che resta nel buio
Domenica in giro per i colli piacentini. Entriamo in una pieve, a Castell’Arquato, completamente al buio. In un angolo c’è un meccanismo nel quale, inserendo un euro, le luci si accendono per alcuni minuti così da poter visitare la chiesa. Ma la fessura nella quale mettere la moneta è bloccata. Insomma, siamo praticamente al buio. Stiamo per andarcene, quando noto una singola luce che colpisce l’unica sedia fuori posto, staccata dalle altre, forse reduce da una messa con distanziamento. E penso che quando si fotografa bisogna sfruttare quel che c’è, perché non siamo in uno studio, il mondo ci si offre per quel che esiste, non per quello che vorremmo che fosse. E scatto questa fotografia.
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Stregato dalla luce
Difficilmente scatto fotografie, e poi a colori, degli interni di chiese, cattedrali, basiliche. Un po’ perché le fotografano tutti e non vedo cosa mai potrei aggiungere di nuovo; un po’ perché si può anche fare, ma ci vuole tecnica (e un cavalletto) e molta pazienza. Eppure, all’arrivo a Gorizia, capita di entrare nella prima chiesa che incontriamo – perdonatemi, non ne ricordo il nome – per dare un’occhiata, che un bell’affresco o una scultura degni di essere osservati si trovano quasi sempre. La chiesa dedicata a non so quale santo, è poco illuminata, ma a quell’ora, per una fortunata combinazione, la luce mi sembra proprio quella giusta. Sta a vedere, mi dico, che non sarà proprio la solita foto. Rivedendola ora, un suo fascino ce l’ha. E la condivido.
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Chiaravalle, finalmente
In tanti anni che abito in Lombardia, non avevo mai visitato l’abbazia di Chiaravalle. L’ho fatto la scorsa settimana, probabilmente nel giorno peggiore per fotografarla: una giornata di nebbia fittissima. Non è stata una scelta ponderata, perché in realtà stavamo andando a San Donato Milanese per vedere una mostra fotografica dedicata al Concorso internazionale di fotogiornalismo “Andrei Stenin” (la consiglio a tutti) che si teneva allo spazio Cascina Roma. Beh, insomma, mentre percorriamo la strada per San Donato, vediamo sullo sfondo il monastero e ci diciamo: “Non l’abbiamo mai visitato…” e così facciamo marcia indietro e cambiamo direzione. Poi la mostra l’abbiamo visitata lo stesso. Queste, dell’abbazia, sono le foto che preferisco: una all’interno, l’altra nel momento, forse uno dei pochi, in cui la nebbia si è un po’ alzata.
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La luce di Padova
Come sempre, quando si arriva in una città ricca di spunti artistici e monumentali come Padova, il rischio concreto è di scattare soltanto delle foto-cartoline. Ancor di più, quando il soggetto è un complesso meraviglioso come la basilica di di Santa Giustina. Quel giorno di primavera, dopo una mattinata di maltempo, il cielo si era schiarito e nel pomeriggio inoltrato la luce era ancora cambiata con l’arrivo di altre nuvole. Così cambiata che forse avrei potuto ottenere un’immagine della basilica leggermente diversa dal solito. Naturalmente, sotto il profilo delle luci. Questo è il risultato.
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Ci deve essere una magia
Ci deve essere una magia nell’arte. Ce ne rendiamo conto appena ammiriamo una scultura, un quadro, una fotografia, un edificio, un disegno, quando ascoltiamo la musica, se leggiamo una poesia, quando vediamo un film. Il senso della magia lo cogliamo, spesso, senza riuscire a decifrarlo, senza essere in grado di trasformarlo in parole. Me ne rendo conto ogni volta che fotografo un’opera d’arte, anche minore. La fotografia viene sempre perfetta, almeno per me. Di merito ne ho pochissimo, è il soggetto che parla a chi lo guarda.