Economia
-
Tutti quei soldi per il dissesto idrogeologico in Oltrepo (ma non solo). C’è una strategia?

L’alluvione in Indonesia (dal Guardian) Negli ultimi cinque o dieci anni credo, da giornalista caposervizio, di aver titolato e pubblicato qualche centinaio (forse di più) articoli che raccontavano come Comuni, Provincia e Regione avessero stanziato soldi, soldi e ancora soldi destinati al nostro Oltrepo per quello che conosciamo tutti come “dissesto idrogeologico”. Ora, non voglio neppure ipotizzare che siano soldi sprecati, ma la sensazione, in questi anni e contando un disastro dopo l’altro, è che sia mancata a livello nazionale, ma forse non solo, una strategia che si possa definire tale. Insomma, si vive – un classico italiano – di interventi a tampone (a tanti begli appalti). Come i bonus: qualcosa risolvono, ma poi si è da capo. Mi è venuto in mente guardando le due fotografie pubblicate dal Guardian e dal Washington Post sull’alluvione che in questi giorni ha colpito Indonesia, Thailandia e Sri Lanka, fotografie che ho accostato a un bell’articolo de Il Foglio del lunedì a firma di Giulio Boccaletti, scienziato e scrittore italo-britannico che è stato ricercatore associato onorario presso la Smith School of Enterprise and the Environment.
L’articolo descrive come eventi recenti di piogge torrenziali, frane ed esondazioni mostrino che il rischio idrogeologico in Italia è ormai sistemico e non gestibile solo con interventi locali e d’emergenza dopo ogni disastro. L’autore osserva che, nel breve intervallo tra una catastrofe e l’altra, si scatena la caccia al colpevole, ma questo riflesso mediatico e politico impedisce di vedere le cause strutturali legate a come è stato occupato, costruito e trasformato il territorio negli ultimi decenni.
Si sostiene che la frequenza crescente degli eventi estremi rende inevitabile ripensare la gestione del suolo, delle aree agricole e dei versanti, puntando su manutenzione ordinaria, rinaturalizzazione, difesa delle aree di esondazione naturale dei fiumi e riduzione del consumo di suolo. Viene criticata l’idea che bastino grandi opere isolate o misure solo tecniche: senza una strategia complessiva di pianificazione del paesaggio, ogni intervento rischia di essere inefficace o addirittura controproducente.
L’articolo richiama anche il tema delle risorse pubbliche, ricordando che gli investimenti, inclusi quelli legati ai vincoli europei e al PNRR, dovrebbero essere orientati da una visione di lungo periodo, e non dall’urgenza del singolo disastro o dalla pressione dell’opinione pubblica. In questo quadro, alla politica viene chiesto uno sforzo di programmazione: definire priorità territoriali, integrare ambiente, agricoltura, urbanistica e protezione civile, fissare obiettivi misurabili di riduzione del rischio e assumersi responsabilità su orizzonti temporali che vadano oltre la singola legislatura.
-
Voglio andare a vivere negli States (ma mi servirebbero 110 milioni di dollari)

L’annuncio sul Los Angeles Times E poi dicono che c’è la crisi negli States. Una delle cose più divertenti che trovo nella lettura del Los Angeles Times sono gli annunci immobiliari. Nel numero della domenica non c’è una casa sotto il milione di dollari, si può capire. Sarei però curioso di sapere chi di dollari ne ha almeno 110 per acquistare questa simpatica casuccia con cinque stanze da letto e undici bagni. Non voglio pensare quanto viene a costare in saponette. Certo, è un gran bel posticino. Guardo il conto e vedo cosa posso fare.
-
Noi italiani ci riteniamo felici? Neppure troppo, le classifiche non mentono (ma a volte sì)

Da oltre un decennio, i ricercatori dietro il World Happiness Report (Rapporto Mondiale sulla Felicità) cercano di codificare una scala comparativa per il benessere ed evidenziare i luoghi dove questo fiorisce. I fattori chiave esaminati includono: benessere materiale, condivisione dei pasti, donazioni agli altri e aiuto agli sconosciuti. “Siamo creature molto sociali e le azioni che aiutano a favorire le connessioni con gli altri hanno molte probabilità di offrirci felicità”, ha detto Lara Aknin, professoressa di psicologia sociale alla Simon Fraser University. Così ci spiega il Washington Post in una doppia pagina pubblicata l’altro ieri. E andando a curiosare sul sito del World Happiness Report scopriamo che purtroppo l’Italia è solo in 40esima posizione. Il che significa che – per citare alcuni Paesi – Romania, Francia, Spagna, Messico e Belgio si ritengono più felici di quanto pensiamo noi di essere.
L’Italia si colloca a metà classifica tra i Paesi europei nel World Happiness Report, con un valore di soddisfazione della vita intorno a 6,3–6,4 su 10, quindi non tra i migliori ma neppure tra i peggiori. Risulta dietro alla gran parte dell’Europa occidentale e nordica, ma sopra diversi Paesi dell’Europa sud‑orientale e orientale.
Classifica dei Paesi europei (valori di felicità)
Prendendo i dati più recenti del World Happiness Report e considerando i Paesi geografici europei, il quadro sintetico è questo: i primi posti sono occupati dai Paesi nordici (Finlandia, Danimarca, Islanda, Svezia, Paesi Bassi, Norvegia, Lussemburgo, Svizzera), tutti con punteggi tra circa 7,1 e 7,8.
Subito dopo vengono Austria, Belgio, Irlanda, Germania, Francia e altri Paesi dell’Europa centrale e baltica (come Lituania, Cechia, Slovenia), con valori compresi tra circa 6,6 e 7,0.Nella fascia medio‑alta, ma sotto i grandi Paesi “core”, si trovano Romania, Estonia, Polonia, Spagna, Serbia, Malta, con punteggi intorno a 6,4–6,5.
L’Italia rientra nella fascia medio‑intermedia europea, con un punteggio intorno a 6,3–6,4, vicina a Spagna, Malta e leggermente sopra a Paesi come Slovacchia, Lettonia, Portogallo, Grecia, Croazia, Bulgaria, Ucraina.Posizione specifica dell’Italia
Nei dati più recenti l’Italia è intorno al 39°–41° posto nel mondo, con un punteggio di circa 6,4 su 10, e si colloca grossomodo nel terzo medio della graduatoria europea.
Ciò significa che è significativamente meno “felice” dei Paesi nordici e di molti Paesi dell’Europa centro‑settentrionale, ma sopra una parte consistente dei Paesi balcanici e dell’Europa orientale.Rispetto alla media mondiale, l’Italia è comunque sopra la media (che è intorno a 5,5–5,6), mentre rispetto alla media europea è leggermente sotto (media europea ≈ 6,4–6,5).
I singoli elementi del World Happiness Report
Il punteggio complessivo è costruito combinando diverse dimensioni: reddito/prodotto interno lordo pro capite, supporto sociale, aspettativa di vita in buona salute, libertà di scelta di vita, generosità (donazioni/comportamenti prosociali) e percezione della corruzione, oltre a indicatori di benessere mentale e fiducia nelle istituzioni.
In genere, l’Italia ha performance relativamente buone su reddito e speranza di vita, ma più deboli su fiducia nelle istituzioni, percezione della corruzione e alcuni aspetti di supporto sociale e benessere soggettivo rispetto ai Paesi nordici.Rispetto ai Paesi europei più felici, le aree “forti” italiane sono: salute (alta aspettativa di vita), patrimonio culturale e qualità di alcuni servizi di welfare; le aree “deboli” sono: fiducia verso governo e istituzioni, percezione della corruzione, e un senso di sicurezza e stabilità economica meno elevato che in Nord Europa.
Italia: buona o cattiva posizione per ciascun elemento
Se si semplifica in tre fasce (alta, media, bassa all’interno dell’Europa), si può riassumere così per l’Italia:
- Reddito e livello di vita materiale: fascia medio‑alta europea (sotto i Paesi nordici e centro‑nordici più ricchi, sopra buona parte di est e sud‑est).
- Salute/aspettativa di vita: fascia alta, con valori tra i migliori in Europa per longevità, anche se il benessere psicologico non è ai vertici.
- Supporto sociale: fascia media; la rete familiare è forte, ma i sistemi di supporto formale e la percezione di aiuto da parte delle istituzioni sono inferiori ai Paesi nordici.
- Libertà di scelta di vita: fascia medio‑alta; buona libertà personale e civile, ma vincoli economici e precarietà riducono la percezione di controllo sulla propria vita rispetto al Nord Europa.
- Generosità/comportamenti prosociali: fascia media; non ai livelli record di alcuni Paesi anglosassoni o nordici, ma nemmeno tra i più bassi.
- Percezione della corruzione e fiducia nelle istituzioni: fascia bassa rispetto al resto dell’Europa occidentale, più vicina in questo ad alcuni Paesi dell’Europa meridionale e orientale.
In sintesi, la posizione dell’Italia non è “catastrofica” ma è strutturalmente inferiore ai Paesi europei di punta: sta abbastanza bene su reddito e salute, ma paga molto in termini di fiducia, qualità percepita delle istituzioni e stabilità/ottimismo soggettivo, che sono proprio gli elementi che spingono in alto i Paesi nordici nella classifica della felicità
-
Ci spaventavano i maiali, ora ci preoccupano i polli. Il ritorno dell’aviaria

Polli malati, una vignetta con l’Ai Se in provincia di Pavia (e in gran parte del Paese) abbiamo finalmente tirato un sospiro di sollievo per il crollo dei casi di peste suina, le infezioni e le malattie che riguardano le specie d’allevamento continuano a preoccupare. In queste ore, infatti, a spaventarci è il ritorno dell’aviaria. Tra il 6 settembre e il 14 novembre 2025 scrivono le agenzie stampa – sono stati segnalati 1.443 casi di influenza aviaria ad alta patogenicità (Hpai) A(H5) negli uccelli selvatici in 26 Paesi europei. Come sottolinea l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, si tratta di una quantità “quattro volte in più rispetto allo stesso periodo nel 2024 e il numero più alto dal 2016”. Nel corso di tale periodo gli uccelli acquatici in varie parti d’Europa sono stati fortemente infettati dall’Hpai, con casi rilevati anche in uccelli selvatici apparentemente sani, il che ha provocato una contaminazione ambientale diffusa. “Tra le varie misure urge rafforzare la sorveglianza ai fini di una diagnosi precoce e garantire una biosicurezza stringente negli allevamenti”, sottolinea l’ente, “onde prevenire l’introduzione dell’Hpai nei volatili domestici e la sua ulteriore diffusione negli allevamenti di pollame”.
Per quello che riguarda l’Italia, e di conseguenza anche la provincia di Pavia, l’allarme appare concreto. A commentare la situazione è Giovanni Filippini, direttore generale della Salute animale presso il ministero della Salute e commissario straordinario alla peste suina africana, in un’intervista pubblicata da Il Sole 24 Ore. ““L’aviaria è un’emergenza importante. Quasi tutti i Paesi Ue oggi sono alle prese con la gestione di focolai. Il virus quest’anno è arrivato in Spagna. Mentre in Italia è il Nordest l’area più a rischio. Siamo ormai di fronte a una vera e propria pandemia. Quasi tutti gli uccelli che sorvegliamo hanno il virus. In Italia siamo sopra i dieci allevamenti colpiti e abbiamo già abbattuto centinaia di migliaia di tacchini, polli e galline ovaiole”, dice Filippini. Il quale però rassicura che, in Italia, al momento non ci sono rischi per l’uomo: fino ad ora non ci sono stati casi di spillover (il salto di specie, che invece c’è stato negli Usa) e “la carne che mangiamo è sicura, sia quella italiana sia quella importata dai Paesi Ue che extra-Ue”.
Per la situazione negli Usa, ecco la sintesi ottenuta grazie all’Ai. Negli Stati Uniti, la situazione attuale dell’influenza aviaria (soprattutto il ceppo H5N1) nel 2025 vede una diffusione significativa non solo tra gli uccelli selvatici e allevamenti avicoli, ma anche nello bestiame come i bovini da latte. Sono stati confermati diversi focolai indipendenti, con un numero stimato di oltre 1.000 allevamenti di bovini coinvolti in 18 stati, e un crescente numero di casi umani, principalmente lavoratori esposti a questi animali infetti. Dal 2024, sono stati segnalati circa 70 casi umani confermati negli USA, con una maggioranza di casi lievi e una mortalità molto bassa, anche se è stato registrato almeno un decesso umano recente attribuito a un ceppo raro H5N5.
Lo spillover, cioè il salto del virus dagli animali all’uomo, si è verificato soprattutto in persone a stretto contatto con volatili domestici, bovini da latte e allevamenti avicoli. Non sono stati documentati casi di trasmissione da uomo a uomo fino ad ora, ma la situazione è attentamente monitorata dalle autorità sanitarie come i CDC. In California, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza alla fine del 2024, si sono registrati numerosi cluster di virus con marcatori virali caratteristici dei ceppi locali.
L’influenza aviaria H5N1 e ceppi correlati come H5N5 continuano a evolversi e a rappresentare una minaccia virologica rilevante per la salute animale e pubblica negli Stati Uniti, con misure di sorveglianza intensificate, soprattutto a livello di allevamenti, e monitoraggio continuo dei casi umani, in particolare tra lavoratori esposti agli animali infetti.
-
Tra Pavia e Cremona, il triangolo perfetto per le nuove centrali a fusione nucleare. Un report

Un impianto a fusione nucleare (immagine prodotta da Ai) Uno studio a livello europeo commissionato da Gauss Fusion identifica centinaia di potenziali siti per centrali a fusione in nove paesi. Questo studio, durato un anno e condotto in collaborazione con l’Università Tecnica di Monaco (TUM), mappa i distretti industriali e i siti energetici esistenti adatti
per la prima generazione di centrali a fusione in Europa. Per l’Italia sono state identificate alcune zone. Per quanto riguarda l’Italia, 7 hub sono nelle regioni settentrionali localizzati tra Milano, Cremona e Venezia, “un corridoio strategico che unisce forte densita’ industriale, adeguata capacita’ di rete e la presenza di infrastrutture energetiche gia’ consolidate”.
La mappa del nord Italia e le aree (in verde) idonee per i nuovi impianti a fusione nucleare L’area di Cremona, dice lo studio, ha caratteristiche particolarmente favorevoli grazie alla prossimità a rilevanti stazioni elettriche ad alta tensione. Nel Sud Italia sono stati inoltre individuati 15 cluster di dimensioni più contenute, localizzati prevalentemente in prossimità delle aree costiere, che rappresentano ulteriori opportunità di sviluppo in una logica di riequilibrio territoriale e valorizzazione delle infrastrutture esistenti. L’aria di potenziale intervento, come si vede da questa mappa, riguarda anche il territorio di Pavia e in particolare la zona lungo il Po (l’indicazione della città di Pavia è stata aggiunta per chiarezza rispetto alla mappa originale: ciò che interessa sono le aree in colore verde, ossia quelle idonee per le centrali).
-
Pavia, record negativo: i cittadini pagano la Tari più alta della Lombardia (3,6% di aumento in un anno)

E’ stata pubblicato oggi il report di Cittadinanza Attiva sulla gestione dei rifiuti in Italia. Un dato su tutti: Pavia ha la Tari più alta della Lombardia, con una crescita di circa il 3,6 per cento rispetto allo scorso anno. Per quanto riguarda il dato nazionale, nel 2025, la spesa media nazionale per la gestione dei rifiuti urbani è pari a 340 euro all’anno, in aumento del 3,3% rispetto al 2024 (329 euro). Le tariffe crescono – in misura differente – in tutte le regioni, ad eccezione di Molise, Valle d’Aosta e Sardegna, e in ben 95 dei 110 capoluoghi di provincia. In Lombardia una famiglia paga in media 262 euro, un aumento del 3,1% rispetto ai 254 euro del 2024. Cremona è meno cara con una tariffa media di 196 euro.
In crescita ovunque anche la raccolta differenziata, che nel 2023 si attesta al 66,6% dei rifiuti prodotti (era il 65,2% nel 2022), In Lombardia si attesta al 73,9%. Restano marcate le differenze territoriali, con il Nord dove la spesa media si attesta sui 290 euro l’anno e una raccolta differenziata che raggiunge il 73% dei rifiuti prodotti; segue il Centro dove le famiglie spendono in media 364 euro, mentre si differenzia il 62% dei rifiuti; sempre fanalino di coda il Sud con una spesa media di 385 euro l’anno e una raccolta differenziata ferma al 59%.
Le regioni più economiche sono il Trentino-Alto Adige (224 €), la Lombardia (262 €) e il Veneto (290 €), mentre le più costose restano la Puglia (445 €), la Campania (418 €) e la Sicilia (402 €).
Catania è il capoluogo di provincia dove si spende di più, 602 euro; Cremona quello più economico con 196 euro in media a famiglia.Pavia, la più cara
Come detto, in Lombardia è Pavia ad avere il costo più alto della Tari, con 302 euro medi annui a famiglia rispetto ai 291 del 2024 e un aumennto, come detto, del 3,6 per cento. Questa la tabella di sintesi:

-
Gli Usa e il costo delle piattaforme come Disney+: in Italia meglio andare al cinema

Piattaforme digitali sempre più care negli Usa (e con pessimi film) Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, etc. etc., sempre più costosi con sempre minor qualità dei film. Non è la mia personale opinione, per quanto con frustazione cerchi, la sera, un film decente da guardare. E’ l’opinione che si sta diffondendo negli Stati Uniti, ossia dove le cose accadono prima che succedano da noi in Italia e in Europa. Due giorni fa, infatti, il Los Angeles Time titolava così un suo articolo: “Streaming services raise prices — and frustration”. All’interno di un lungo e dettagliato articolo si raccontava, citando la vicenda di una famiglia-tipo, come “Sei anni fa, quando Kate Keridan si è iscritta a Disney+, il costo era di 6,99 dollari al mese, offrendo alla sua famiglia l’accesso a centinaia di film come “Il Re Leone” e migliaia di episodi di serie TV, incluse quelle di Star Wars e programmi senza pubblicità. Ma da allora, il prezzo è salito a 17,99 dollari al mese. Questo è stato il colpo di grazia per Keridan, 46 anni, che ha raccontato come suo marito abbia annullato Disney+ il mese scorso”. I prezzi raddoppiano, infatti. Il Los Angeles Time precisa ancora: “Un tempo venduti a prezzi scontati, molte piattaforme hanno aumentato i prezzi a un ritmo che, secondo i consumatori, li frustra. Le società dell’intrattenimento, sotto pressione da parte degli investitori per aumentare i profitti, hanno giustificato gli aumenti con una maggiore offerta di contenuti — ma non sempre gli abbonati ne sono convinti. Secondo la società di consulenza Deloitte, i clienti stanno pagando in media 22 dollari in più al mese per i servizi di streaming video rispetto a un anno fa. Da ottobre, le famiglie statunitensi hanno speso in media 70 dollari al mese, rispetto ai 48 dollari dell’anno precedente”.
E da noi? Da noi il prezzo di base di Netflix, per fare l’esempio della piattaforma più diffusa, dopo un primo aumento è rimasto sostanzialmente stabile, ma con l’aggiunta della pubblicità, mentre l’abbonamento senza pubblicità è salito regolarmente. Sky, invece, ha fatto una scelta di gestione dei vari pacchetti che ha confermato sostanzialmente i costi ma dando meno servizi dopo una prima fase “a manica larga”. In buona sostanza, la possibilità di applicare aumenti come avviene degli States è minima per gli operatori, perché la crisi del Paese fa sì che in presenza di aumenti, si abbandoni il servizio. Il vero problema resta quello della qualità dei film che vengono distribuiti. Troppi, mal realizzati, spesso fotocopie l’uno dell’altro. E, purtroppo, diffusi (quelli buoni) su varie piattaforme alle quali, per scegliere, bisognerebbe essere abbonati. La cosa migliore? Andare al cinema. Costa di più, ma ne vale la pena.
-
Un’altra classifica: la provincia di Pavia peggiore in Lombardia per qualità della vita

Ogni volta che qualche quotidiano pubblica una classifica di province o capoluoghi di provincia, mi vengono i brividi. L’ultima analisi, sulla qualità dei servizi pubblici, ha lasciato l’amaro in bocca con Pavia città al 73esimo posto. I dati erano stati pubblicati da Il Sole 24 Ore sulla base di un lavoro svolto da alcuni ricercatori con l’università La Sapienza. Stavolta il quotidiano economico Italia Oggi piazza Pavia provincia, per la qualità della vita, in 58esima posizione, otto posizioni peggio dello scorso anno, ultima tra le province lombarde. Tra le varie classifiche parziali, che compongono la principale, da segnalare negativamente la 64esima posizione di Pavia provincia per quello che riguarda il tasso di occupazione 18-64 anni: nel 2024 la posizione era la 45esima. Anche qui, i peggiori della Lombardia. E potrei proseguire, ma acquistate Italia Oggi che è la cosa migliore da fare. Detto questo, alcune esaltazioni della provincia di Pavia (anche della Provincia, con la “P” maiuscola), sono tutte da rivedere. Andiamo male, lo confermano i numeri. Il resto, come sempre, sono chiacchiere.
-
Qualità della pubblica amministrazione: il capoluogo Pavia in 73esima posizione

Servizi pubblici, Pavia non è messa benissimo Pavia soltanto 73esima. Decisamente, si poteva fare meglio. Ma al di là delle polemiche relative ai ponti sul Naviglio, ai dirigenti più o meno licenziati e alle polemiche sull’utilizzo delle risorse pubbliche, i numeri sono come al solito l’unica risorsa che, se utilizzata correttamente, fornisce un quadro preciso dello stato dell’arte. E lo stato dell’arte ci dice che su 112 capoluoghi di provincia analizzati attraverso un complesso sistema di parametri (e su un periodo di diversi anni), Pavia rischia di sfiorare la parte bassa della classifica. La ricerca di cui parliamo, presentata l’altro ieri, riguarda il nuovo Indice Maqi sulla qualità dell’amministrazione comunale, sviluppato da ricercatori di Sapienza, Gssi e Istat su 7.725 Enti Locali e mostra che i 112 capoluoghi hanno in media maggiore capacità amministrativa rispetto agli altri Comuni, grazie a personale più istruito e a maggiori margini finanziari. Sul podio delle performance complessive dei capoluoghi sale Sondrio, seguita da Savona e Genova, mentre in coda figurano Isernia, Agrigento e Catania. L’indice, basato su 11 indicatori strutturali, politici e finanziari, evidenzia un chiaro divario Nord-Sud, con gli enti meridionali penalizzati soprattutto su rigidità della spesa, capacità di spesa e riscossione. Nel tempo migliorano livello di istruzione dei dipendenti, capacità di riscossione e flessibilità della spesa, ma continua a ridursi il numero di dipendenti per abitante. Sia chiaro: l’indice Maqui fotografa le caratteristiche tecniche, politiche e gestionali e si riferisce al Municipal Administration Quality Index, ossia un indice composito per misurare la qualità dei governi locali. È un indicatore che valuta aspetti come la qualità burocratica, la capacità, il merito dei politici locali e le prestazioni economico-fiscali dei comuni, coprendo un ampio arco temporale e quasi tutti i comuni italiani.
Pavia, dunque, 73esima. Perché questa posizione così bassa? Peggio di Messina, Foggia, Campobasso, Siracusa e Salerno, ossia un confronto perdente con città del nostro sud Italia che, forse con troppa retorica razzista, consideriamo inefficienti per partito preso. Dunque, perché? Innanzitutto, spiega Il Sole 24 Ore, “l’indice misura la qualità della macchina amministrativa, combinando dati sul capitale umano (anni medi di istruzione dei dipendenti pubblici), il turnover del personale (elevata rotazione può compromettere la continuità e le competenze operative), la dotazione organica (numero di dipendenti per 1.000 abitanti) e l’assenteismo (media delle assenze per dipendente)”. Inoltre, “l’indice rileva le caratteristiche strutturali della leadership locale, includendo gli anni di istruzione del sindaco e degli altri rappresentanti (vicesindaco, assessore e presidente del consiglio), la parità di genere negli organi politici e la quota di amministratori con profili white-collar (impiegati, professionisti, manager). Competenze e professionalità politica favoriscono visione strategica, progettualità e legittimazione democratica”. Infine, “l’analisi valuta anche l’efficacia gestionale, l’autonomia esecutiva e la sostenibilità finanziaria degli enti locali tramite gli indicatori sulla rigidità della spesa (incidenza delle spese fisse sul bilancio), sulla capacità di spesa (rapporto tra spese effettive e accertate) e di riscossione (% raccolta delle entrate) e sulla quota di investimenti in bilancio”.
Ecco, su questi aspetti Pavia deve migliorare. E di molto. Ma consoliamoci: Lecco, Cremona e Lodi stanno persino peggio. Mal comune (sic), mezzo gaudio.
-
Occupazione, le buone notizie per la provincia di Pavia (quarta in Lombardia)

Operai in fabbrica (immagine generata con l’Ai) Ogni tanto una buona notizia che riguarda la provincia di Pavia. Dove, tra crisi aziendali, lavoratori massacrati dalle logistiche, cantine che si dissolvono al vento lasciando amarezza, rabbia e recriminazioni, spunta però un dato positivo. Pavia, ecco il dato, si piazza in quarta posizione in Lombardia, 32esima in Italia, per tasso di occupazione (popolazione tra i 18 e 64 anni). Con una percentuale del 68,8%, ha davanti a sè Varese, Cremona e naturalmente Milano. E’ un dato, questo, che emerge dalle ultime rilevazioni del Sistema Informativo Excelsior che mostrano anche come in Lombardia sia anche presente, in questa ottima classifica (sopra alla media nazionale del 62,6%), un lavoro di qualità medio alta. Un risultato sicuramente importante che dimostra la forza del sistema economico della regione Lombardia. Qui il tasso di occupazione non solo è superiore alla media nazionale, come detto, ma è addirittura in crescita dello 0,5% sul dato dello scorso anno. A livello provinciale, i tassi di occupazione plù elevati nel primo semestre del 2025 si registrano a Milano (73.3%), Cremona (70,6%) e Varese (69,3%). Questa la tabella riassuntiva:

La tabella pubblica da Il Sole 24 Ore