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Il jazz e la fotografia
Tra non molto, il 14 settembre, inizia il festival “Voghera fotografia 2019”, una rassegna che comprende tantissimi appuntamenti, workshop, mostre, dibattiti (https://www.facebook.com/Voghera-Fotografia-2204091109821407/). Quest’anno gran parte delle mostre saranno dedicate al jazz, con le immagini di grandi professionisti e, di conseguenza, di grandi musicisti. Ci sarà anche uno spazio di quattro appuntamenti – incontri con musicisti e fotografi – organizzati dal quotidiano per cui lavoro, la Provincia Pavese, e che avrò il piacere (e l’impegno) di coordinare. Come ho detto più volte, fotografare la musica non è semplice, fotografare il jazz è del tutto particolare. Si ha un vantaggio, spesso i musicisti (a parte qualcuno che se la tira un po’ troppo…) non hanno problemi se li fotografi; lo svantaggio è che si suona spesso in locali dove le luci non sono il massimo, inoltre i musicisti non si muovono come i cantanti pop e rock. Magari restano in piedi, fermi, ad occhi chiusi, per tutto un brano. Questa mia fotografia è di qualche anno fa, scattata a Pavia alla rassegna Dialoghi per due.
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Cowboys oltrepadani
Quando si parla, nel lavoro fotogiornalistico, di contestualizzare le immagini, significa in buona sostanza che l’immagine stessa dovrebbe poter avere il suo significato senza bisogno di una didascalia. Ecco, la fotografia che vedete qui sotto ne ha necessità. Il simpatico gruppo di cowboys – quelli che sembrano cowboys o almeno agricoltori del Texas – sono in realtà agricoltori che arrivano a Voghera un po’ da tutta Italia per esaminare il risultato delle sementi. Un momento importante della loro professione e anche fotograficamente curioso, perché tutti insieme entrano nei campi mentre alcuni esperti magnificano e spiegano tutti i segreti del grano, del mais e così via. Ecco, la foto avrebbe potuto parlare da sola se vicino a quel campo ci fosse stato un oggetto, un qualunque segno che contestualizzasse almeno geograficamente quell’istante. Non c’era. Ma per fortuna ci sono le didascalie sui quotidiani.
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Non è facile per niente
Nel nostro meraviglioso Paese dei sessanta milioni di allenatori della Nazionale di calcio e degli altrettanti sessanta milioni (e rotti) di presidenti del Consiglio, figuriamoci se non troviamo anche sessanta milioni di fotografi. Intendo dire, fotografi professionisti. La differenza tra un fotografo, anche bravo, e un fotografo professionista, è abissale. Per gli obiettivi da raggiungere, da garantire. Perché – faccio un esempio paradossale – se ti chiedono, subito, una foto di tramonto e quella sera il tramonto non c’è (fotograficamente parlando) tu lo devi scattare lo stesso. Come? Ecco, qui si vede la differenza tra fotografo professionista e bravo dilettante. Me ne sono reso conto, per lavoro, diverse volte. Mi è capitato di dover avere una foto di un incidente stradale, e l’incidente stradale non c’era più, o di un evento in genere, e l’evento era bello che finito. Non è facile, garantisco. Lavorando con tanti fotografi, e spesso fotografando direttamente io, so di cosa parlo. Ma non sempre lo sai. L’ho compreso appieno una sera, quando Luca, un amico fotografo specializzato in concerti, mi ha chiesto di sostituirlo per un lavoro serale, a Milano. Quella volta ho fotografato da professionista di quella “specialità” e mi sono reso conto delle grandi difficoltà e della tensione del dover avere almeno una foto buona. Non saprei giudicare il risultato, ma avendo visto poi le sue fotografie, lui avrebbe fatto decisamente meglio. Quindi, prima di sentenziare di fotografia, bisognerebbe, a volte, sapere di cosa si sta parlando. Ah, ecco, queste sono alcune foto di quella sera (e come vedete, sono abbastanza bruttine).
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Un tavolaccio
Qui sotto non c’è una gran foto. Tutt’altro. Ma la pubblico perché il risultato dello scatto, quello che state vedendo, è esattamente (quasi esattamente) ciò che avevo in mente nel momento in cui ho premuto il pulsante sulla fotocamera. Immaginavo che la prospettiva, dal basso, parallela al tavolaccio potesse dare forza all’immagine, che gli oggetti lasciati lì disordinatamente servissero a creare profondità, che l’obiettivo con il diaframma aperto al massimo creasse lo sfocato necessario e infine che Paola, sempre sfocata, servisse a dare vita alla fotografia in modo che non si trasformasse in una sorta di still life all’aperto. E infine, i colori che avevo di fronte li immaginavo già trasformati e resi più caldi in fase di post produzione. Ecco, come detto, non è una gran foto, ma è quella che immaginavo. Ed è un esercizio utilissimo. Anche perché, poi rivedendola, mi sono reso conto che tagliare l’angolo del tavolo è stata una sciocchezza. E dagli errori si impara. Eccome.
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Il barbiere di Voghera
E’ sempre stato uno dei miei ritratti preferiti. Devo averlo scattato cinque o sei anni fa, a Voghera, quando ancora c’era una redazione del quotidiano La Provincia Pavese in città, quotidiano dove lavoravo (e lavoro ancora). In via Scarabelli, proprio sotto la redazione, c’era un barbiere dove andavo a farmi tagliare i pochi capelli rimasti e aggiustare la barba. In quel periodo avevo iniziato a fare un lavoro fotografico sui ritratti e gli chiesi se voleva posare per me. Ne venne fuori questa immagine.
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Monte Alpe, a Ferragosto
Sì, lo so. Il Monte Alpe, Ferragosto e una lunga passeggiata in montagna non c’entrano (quasi) niente con la fotografia. La scusa è che avevo con me la fotocamera e un solo obiettivo, il Laowa Venus 9mm f/2.8 Zero D, montato sulla mia “vecchia” Fuji X-T1. Una bella passeggiata insieme a Paola, iniziata la mattina intorno alle 10 e conclusa verso le 16, dopo aver percorso circa 12 km (secondo l’applicazione dello smartphone sarebbero stati 16 km, ma sbagliava). Il percorso ci ha permesso di “circumavigare” la riserva naturale del Monte Alpe, ricchissimo di vegetazione.
L’obiettivo grandangolare è perfetto per questa passeggiata dove i paesaggi dell’alta collina oltrepadana sono in realtà pochi mentre è necessario inquadrare e dar forza alle foreste, alle piante, ai passaggi tra un punto e l’altro del percorso. Qui sotto vedete la cartina del parco con i sentieri.
Come notate vi sono diverse soluzioni. Noi abbiamo scelto quella che, arrivata quasi in fondo alla prima parte (in alto a destra), taglia verso sud per evitare di avvicinarsi troppo alla strada provinciale e per godersi l’interno del parco e non solo i suoi confini. Per farlo abbiamo seguito la traccia Gps scaricabile da questo link che è praticamente perfetta e che vedete riprodotta qui sotto.
La riserva è bellissima, la camminata che abbiamo fatto ha solo un paio di tratti davvero faticosi, una discesa e una “lunga” salita finale. Insomma, è per tutti, ancor di più se si segue il percorso esterno, forse meno affascinante ma più comodo. Nella seconda parte del percorso, attraversando i boschi di larice, vi imbatterete in centinaia di nidi di formica rufa.
Quindi buona passeggiata e ricordatevi che non troverete acqua lungo il percorso, che noi siamo partiti dalla chiesetta ai Tre Passi (distante dalla partenza ufficiale e dove c’è l’accoglienza della riserva con le informazioni), che non ci sono molti posti dove fermarsi a mangiare (quindi niente tavoli e panche). Infine, dico a chi non è abituato a camminare in montagna, portate con voi un ricambio dei vestiti, un K-Way per la pioggia e lasciate sempre detto a qualcuno dove siete andati. I cellulari prendono abbastanza, ma ci sono molti punti non coperti.
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Viaggio in Giordania
Un viaggio bellissimo in Giordania, insieme a Paola, una dozzina di giorni tra deserto, città, mare e tanta divertente fatica. E un po’ di accettabili fotografie. Alcune le potete vedere qui sotto. Una breve storia del viaggio la trovate cliccando su questo link.
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Comodamente in attesa
Era una giornata calda, forse ero a Roma. Non ricordo con sicurezza. Sta di fatto che questo turista, per ripararsi dal sole, aveva preso possesso di una sedia e si era messo comodo sul sagrato della chiesa. Con la coppola in testa, tranquillo e sereno.
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Lo sguardo
Ci sono interi manuali dedicati alla street photography. Alcuni li ho letti, altri li ho solo sfogliati. Se volete, posso anche consigliarvene qualcuno. In realtà quello che conta, come sempre, sono le situazioni, le prospettive, le persone, i loro sguardi. Ecco, lo sguardo di lui che non c’è e quello di lei, verso la carrozza, nel giorno di festa, creano una fotografia. Almeno credo. Ero in Spagna, qualche anno fa.
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Il sole, un muro, le ombre
A volte basta poco per scattare una foto che abbia almeno un po’ di senso. A volte, come in questo caso, è sufficiente un po’ di sole al tramonto, un muro, le ombre che lo ridisegnano, i colori forti, pastello. Non so perché, questa fotografia mi è sempre piaciuta ma non riesco più a ricordare dove diavolo l’avevo scattata…