musica
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Una serata di jazz e ricordi (con Pietro Bonelli)

Pietro Bonelli (a destra) sul palco del Trani Pub Era un bel po’ di tempo che non sentivo suonare Pietro Bonelli, grande chitarrista jazz e mio maestro per diversi anni. E’ stato bello rivederlo sul palco, sentire i suoi “soli” e la capacità incredibile che ha di accompagnare. Faceva swing, l’altra sera, in quel bel locale che è il Trani Pub di Belgioioso, con il suo “Jezzz Organ Trio” (con lui Angelo Cattoni, tastiere, e Fabio Villaggi, batteria) perché ormai il jazz puro non lo suona quasi più. Un peccato, perché i miei ricordi, non solo di lui come ottimo insegnante, ma anche come autore molto originale con una tecnica al fulmicotone (allievo di quel grande didatta che è stato Daccò). Ed è un peccato, anche, che non insegni più perché proprio l’altra sera, Pietro ha dimostrato come si suona in trio, come si lavora con gli altri, come ci si tira indietro quando è il momento, e quando si entra decisi se è il caso. Come si suona, insomma, jazz puro a parte. Qualcosa da lui ho imparato. Così ieri ho ficcato le mani tra i vecchi spartiti è ho tirato fuori la trascrizione di un brano bellissimo per due ragioni. Il titolo è “Thin Send” ed è bellissimo perché Pietro lo suonava stupendamente e perché il tema era di Mario Zara, altro grandissimo musicista che purtroppo non c’è più. E così, ho suonato e risuonato quel pezzo. Ricordando.
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Tutto il buono del self publishing

Il buono dell’autopubblicazione (immagine realizzata con l’Ai) Internet mi ricorda che senza l’autopubblicazione non avremmo Alla ricerca del tempo perduto di Proust o Gli indifferenti di Moravia. Ma davvero, oggi come oggi, l’autopubblicazione (self publishing) di libri e musica è riservata ai dilettanti allo sbaraglio, a quelli che non trovano una casa editrice o un produttore musicale perché “scarsi”? Per quello che personalmente mi riguarda, i libri che ho pubblicato (quattro, poca roba) hanno avuto un editore “vero”, nel senso che mi ha pagato. Ma per la musica, faccio da solo, autopubblico. In questo caso, perché probabilmente nessuno me la produrrebbe… Quel che conta è divertirsi. Ma, questioni personali a parte, l’autopubblicazione ha una sua ragione d’essere. Mi è venuto in mente di parlarne dopo una lettura di un trafiletto su un giornale. Leggo infatti sul Sole 24 Ore: “Dal crowdfunding fino a un approccio ancora più diretto e indipendente. Un modo per preservare il pieno controllo creativo, i diritti editoriali e i tempi di pubblicazione, arrivando a un pubblico globale e mantenendo la coerenza di scrivere storie ispiratrici per le nuove generazioni. È il percorso di Francesca Cavallo, autrice, imprenditrice, produttrice. Pugliese di nascita, dopo un periodo negli Usa ora è a Roma. Qui a Colle Oppio, in una ex bisca clandestina degli anni 70 sta realizzando il suo headquarter: uno studio per scrivere libri e una sala di incisione per registrare podcast. Dopo il successo mondiale Cavallo ha scelto di pubblicare il suo secondo libro per bambini, “Storie spaziali per maschi del futuro”, con il self publishing. Obiettivo: non aderire alle convenzioni”. Va poi detto che, parere personalissimo, si iniziano a trovare libri e musica interessantissimi autoprodotti e gli strumenti ci sono, eccome. Mentre, nello stesso tempo, buona parte dei libri e della musica prodotti secondo le regole tradizionali sono, rispettivamente, illeggibili e inascoltabili. E spesso, uno uguale all’altro. Quindi, ben venga l’autopubblicazione. D’altro canto, mi spiegava chi del mondo editoriale si occupa di professione, oggi gli autori che attraverso i canali tradizionali vendono più di 5mila copie sono davvero pochi. E Vannacci (scusate il paragone) ha venduto decine di migliaia di copie su Amazon.
Quello che sappiamo dall’Ai
Non esistono dati pubblici precisi su quante copie esatte vendano individualmente i libri autopubblicati su Amazon, ma le statistiche annuali mostrano un mercato molto ampio, con oltre un milione di autori che pubblicano tramite Kindle Direct Publishing (KDP) e oltre 500 milioni di dollari di royalties distribuite ogni anno. Origini e prime forme
Forme di autopubblicazione esistevano già nel Settecento, quando personalità come Madame Pompadour si dotarono di tipografie private per diffondere i propri scritti e influenzare il gusto letterario e politico francese. Nell’Ottocento, con la diffusione della stampa e l’alfabetizzazione di massa, aumentò il numero di autori che pubblicavano a proprie spese. Johann Wolfgang von Goethe fu tra i primi a farlo in Germania, anticipando la nascita dell’autore moderno come figura indipendente.
Molti grandi scrittori del Novecento cominciarono la propria carriera grazie all’autopubblicazione. Marcel Proust nel 1913 pubblicò a sue spese Dalla parte di Swann, primo volume de Alla ricerca del tempo perduto, dopo essere stato rifiutato da più editori. Jorge Luis Borges nel 1923 stampò autonomamente la raccolta poetica Fervor de Buenos Aires, regalandone copie ai critici letterari di Buenos Aires. Anche Margaret Atwood realizzò e distribuì da sola la sua prima raccolta poetica, Double Persephone (1961), con una tiratura artigianale di 220 copie. In Italia, Italo Svevo e Alberto Moravia si finanziarono da sé le prime opere, come Una vita e Gli indifferenti.
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Ma che bel jazz from UK (Olivia Cuttil)

Olivia Cuttil (dal suo profilo Instagram, foto di Antonio Porcar Cano) Ma che brava questa giovane trombettista inglese, Olivia Cuttil. E quanto mi piace anche la cantante del suo quintetto, Issey Chivers. Sto ascoltando il suo ultimo album “And Writing And Singing And Tunes To Be Swingin'” e mi piace proprio: swing, divertimento, tanto blues e un bel supporto dai musicisti che l’accompagnano. Ma altrettanto ascoltabile è il suo precedente lavoro “The Whole Damn Plan” abbastanza simile nelle scelte stilistiche. Scrive di lei la rivista Jazzwise: “Il suono della sua tromba è formidabile: maturo, rotondo, come una campana. Produce un tono inaspettatamente perfetto, con un ritmo e un’intonazione impeccabili, che ricordano artisti del calibro di Hugh Masekela, Lee Morgan e Chet Baker”. Beh, citare Baker è sempre un rischio, ma in effetti c’è del gran fascino nel suono della sua tromba. Scrive ancora Jazzwise: “Cuttill ha realizzato, e co-prodotto, due album con il suo attuale quintetto. I brani procedono con un ritmo incalzante. Gli assoli di tromba sono perfetti, con un suono jazz splendidamente sviluppato, e gli arrangiamenti swinganti, ma attenti, lasciano spazio a ogni strumentista per eccellere negli assoli. Le sue prime influenze musicali sono state il soul e l’R&B piuttosto che il jazz: “Quando stavo crescendo [suo padre è il batterista Graham Cuttill] c’erano Chaka Kahn, Donny Hathaway, Stevie Wonder e tutta quel genere di musica. Quindi penso che sia una parte integrante del mio suono… E guardavamo molti film Disney; la musica di quei film – non solo le canzoni, ma l’intera colonna sonora – è incredibile”. Ok, detto questo ascoltatela. E ascoltate in particolare “Easy There”, brano che conferma come Cuttil ha un sacco di belle idee e un suono splendido e intonatissimo.
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Beata gioventù jazzistica

Il Lorenzo Simoni Quartet (Simoni il primo a sinistra) Beata gioventù. Avranno tutti più o meno vent’anni i quattro ragazzi (al sassofono, pianoforte, contrabbasso e batteria) che salgono sul palco un bel sabato pomeriggio d’ottobre mentre fuori c’è il sole e fa quasi caldo alle cinque e mezza del pomeriggio a Milano, il palco è quello della Camera del Lavoro per la rassegna musicale che va avanti da trentuno anni. GIovani, ma bravissimi, al punto da invidiare quella gioventù e quella tecnica, la semplicità di stare lì sul palco, la precisione dell’interplay, la leggerezza nel non tirarsela neppure troppo anche se il. batterista è un metronomo umano al fulmicotone e Lorenzo Simoni, il leader, mostra una tecnica che certamente arriva dall’aver frequentato la musica classica, cosa a cui trovo conferma sfogliando sul web e lo sorprendo in duo proprio a far della musica classica di qualità. Un’ora e mezza, forse meno, di brani originali, dove non manca un blues persino un po’ troppo frenetico e che conferma che il quartetto strizza senza dubbio l’occhio al pop jazz, ma solo perché le melodie non sono le solite costruite sulle altrettanto solite strutture armoniche e poi perché strizzare l’occhio quando suoni così, ebbè insomma vorrei riuscire a strizzarlo io quando suono da dilettante. Sarebbe da sentirli ancora ‘sti ragazzi tanto eleganti nel suonare, ma come al solito, qui nella Pavia dei monopoli, manco con il piffero che li troveremo. Peccato. Sì, peccato per davvero.
- concerti, Controluce, cronaca, fotografia, Fuji X Series, jazz, manifestazioni, musica, Post produzione, Spettacoli, Teatro
Concerti in bianco e nero
Potrò parlarne più avanti, con un certo orgoglio, ma il lungo e appassionato lavoro che ho fatto negli anni passati registrando le immagini di concerti e di prove di concerti a Pavia avrà un riconoscimento pubblico. Ne sono già ora molto orgoglioso e felice. Forse persino troppo per me, se penso alle centinaia di colleghi giornalisti e fotografi che ogni giorno, sottopagati, scattano negli stadi, nelle arene, nei teatri, realizzando lavori bellissimi. Una professione sempre più difficile da fare, sempre più impegnativa ma che, seppure non sia stata la mia principale attività (faccio il giornalista e scrivo più che altro), può dare grandi soddisfazioni. Qui, ora, pubblico alcune immagini tra le tante del mio archivio. Buona visione.







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Niente a che vedere
Questa fotografia non ha niente a che vedere con la fotografia. O meglio, con la mia fotografia. Non è neppure una fotografia, ma un’immagine creata con due fotografie (le rose: una fresca, l’altra appassita) e materiale di stock. E’ una vaga, molto vaga bozza di un lavoro che sto facendo per la copertina di un album musicale che sarà pubblicato nei prossimi giorni. Non posso dire di più.

Rose rosse (non tutte) per te… -
Icardi Trio a Spaziomusica
Elio Rivagli (batteria), Ivano Icardi (chitarra) e Lorenzo Poli (basso) salgono sul palco di Spaziomusica. Dei signori musicisti, un power trio che per quasi due ore tiene incollato alle sedie un pubblico attento e particolarmente competente. Certo, deve piacere il genere. Personalmente, non ne vado pazzo: ma la tecnica di Rivagli – per dire: ha suonato con De Andrè e Fossati, quella di Icardi – per dire: ha pubblicato con l’etichetta di Steve Vai – e infine quella di Poli – per dire: ha accompagnato Zucchero, Anastacia e Suzanne Vega – sono una sorta di masterclass dal vivo. Imperdibili.
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Mimmo Locasciulli a Spazio
Era un bel po’ di tempo che non tornavo a Spaziomusica, storico locale di Pavia, regno della buona musica. Sono cambiate tante cose, oltre alla proprietà (uno dei soci è l’amico Paolo Pieretto, una garanzia). Tra queste, la luce sul palco: più marcata, con meno faretti colorati o almeno, vengono sfruttati con moderazione. A Spazio sono andato qualche sera fa, c’era sul palco Mimmo Locasciulli, storico cantautore, ed ho provato qualche scatto.
Mimmo Locasciulli in concerto a Spaziomusica, Pavia -
Carlo in concerto
Non può che essere una delle mie fotografie preferite. O meglio, dei migliori momenti in cui mi è capitato di scattare. Mostra mio figlio, Carlo, in concerto nel cortile dell’università di Pavia. E’ una foto di qualche tempo fa, ma il suo modo di stare dietro la tastiera non è mai cambiato. In questo caso, tecnicamente parlando, ho lavorato ovviamente in manuale, recuperando qualche ombra in fase di post produzione e cercando far risaltare il fumo artificiale.

Carlo Maida in concerto -
Tito e Joe
Il luogo era perfetto, il Caffè Teatro di Pavia; i musicisti eccezionali, i contrabbassisti Tito Mangialajo Rantzer e Joe Fonda; la scelta ardita, il duo; la luce pessima, dominante arancione. Queste le condizioni del bellissimo concerto che si è tenuto un venerdì sera di novembre appunto al Caffè Teatro di Pavia, locale dove l’intelligenza del titolare fa sì che si possa trovare sempre della buona musica e dell’ottimo jazz in particolare. Ero lì per ascoltare un amico, Tito, ma anche per scattare qualche fotografia. Dominante a parte, la luce era davvero pochissima e ho dovuto salire a 3.200 Iso. La mia Fuij X-T3 ha retto alla prova, credo.


























